Recensioni - Cultura e musica

Tre aspetti di ‘900 al Filarmonico

Il russo Vladimir Jurovskij per il suo debutto veronese al Settembre dell’Accademia, in qualità di direttore ospite principale del...

Il russo Vladimir Jurovskij per il suo debutto veronese al Settembre dell’Accademia, in qualità di direttore ospite principale della London Philharmonic Orchestra, ha scelto una selezione interamente dedicata alla musica di inizio ‘900 proponendo un programma tutt’altro che semplice ma molto stimolante.
Quest’ultimo consisteva infatti di tre brani di altrettanti compositori dallo stile e dalla poetica assai differenti, il cui unico elemento accomunante era un intervallo cronologico ristretto ad una decina d’anni, ovvero dal 1932-33, quando il ventiquattrenne Olivier Messiaen presentava il suo “L’Ascension” e Maurice Ravel il suo Concerto in sol per pianoforte e orchestra al 1944 quando Sergej Prokofiev terminava la sua Sinfonia n. 5.
Prima opera orchestrale di grande respiro del giovane Messiaen, “L’Ascension” nasce da quell’ispirazione religiosa che sarà alla base di molte sue composizioni. I quattro riferimenti testuali, che costituiscono le altrettante parti della composizione, vengono in un certo senso smaterializzati in una tavolozza di colori orchestrali che dimostrano già una grande padronanza nell’uso dei vari timbri e degli impasti sonori soprattutto nelle parti più lente e meditative.
In questa direzione si è mosso Jurovskij che ne ha dato una lettura asciutta e rigorosa ma, allo stesso tempo, tesa ed attenta a mettere in luce tutte le componenti cromatiche della partitura e ad esaltare la ieraticità della musica. Approccio questo che, azzardando un paragone cinematografico, ricorda il modo in cui la religiosità veniva affrontata nei film di Robert Bresson: sempre con sguardo analitico ed apparentemente distaccato ma allo stesso tempo carico e portatore di un profondissimo senso del sacro.
Seppur composto nello stesso anno de “L’Ascension”, di stampo diametralmente opposto è il Concerto per pianoforte in sol maggiore di Maurice Ravel. Progettato con l’intento di scrivere un concerto secondo lo stile di Mozart o di Saint-Saëns, in realtà, nella serena vitalità del primo e del terzo movimento, questo lavoro sembra di gran lunga più debitore del Fauvismo di Stravinskj o del jazz di stampo gershwiniano. Ma non sono solo queste le influenze cui Ravel attinge e che fonde mirabilmente in una sorta di sintesi del neoclassicismo: si individuano echi di Rachmaninov, di musiche basche e veri e propri rumori che giustificano in partitura percussioni tra cui il wood-block, la frusta e il tamburo militare.
Jurovskij, accompagnato al pianoforte dall’impeccabile Benedetto Lupo, ha optato anche in questo caso per una esaltazione delle componenti contrappuntistica e cromatica in chiave asciutta e rigorosa. Splendidamente elegiaco è stato però il secondo movimento, la cui cantabilità del lungo assolo è stata resa mirabilmente da Lupo e, con altrettanta espressività nella seconda parte, da un’orchestra in perfetta sintonia con il solista.
Scritta in pieno secondo conflitto mondiale, la Quinta Sinfonia di Sergej Prokofiev si prefigge come obbiettivo l’esaltazione dell’uomo e delle sue qualità. In perenne conflitto tra retorica, peraltro inevitabile per un’artista vissuto in epoca staliniana, ed ironica ispirazione, questa sinfonia può vantare solide geometrie e schemi spesso semplici che la rendono immediatamente comprensibile. Jurovskij attraverso un’interpretazione di grande compattezza e tensione è riuscito ad evitare che emergessero eccessivamente la schizofrenia e la ridondanza di alcuni passaggi di questo lavoro, supportato da un’orchestra impeccabile che lo ha assecondato sino al coinvolgente finale.
Un teatro gremito, come ormai questa rassegna ci ha abituati a vedere, ha tributato lunghi e convinti applausi suggellando una grande serata di musica.

Davide Cornacchione 13/09/2005