Recensioni - Cultura e musica

Trionfa la Filarmonica di San Pietroburgo al Settembre dell’Accademia

È la musica slava la protagonista del secondo concerto del Settembre dell’Accademia, che ha visto sul palcoscenico del Teatro Filarmonico l’Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo, eccezionalmente orfana del suo direttore musicale Yuri Temirkanov, assente per un’indisposizione, ma ottimamente sostituito sul podio dal rumeno Ion Marin. Di matrice slava anche il programma, che prevedeva il Primo concerto per pianoforte orchestra di Pëtr Il’ic Čaikovskij, solista Olli Mustonen, e la Nona sinfonia “Dal nuovo mondo” di Antonin Dvořak, che, pur rivolgendo lo sguardo oltre oceano, rimane l’opera di un compositore boemo. Ed è stata infatti la componente slava di questa partitura che è emersa dall’esecuzione, in contrasto con quelle letture che vi scorgono un’anticipazione delle musiche americane del novecento. Non va infatti dimenticato che Dvořak, da sempre interessato alle musiche popolari, si è sì ispirato ad alcune melodie dei nativi americani, ma ha disseminato la partitura di temi provenienti dalla tradizione boema.

L’interpretazione si è mossa sui binari di una solida tradizione, ma il minuzioso lavoro di cesello, di ogni singola cellula, aiutato anche da una scelta di tempi più distesi, hanno contribuito ad un’esecuzione magnifica, le cui sonorità rimandavano più alle terre dell’est europeo che alle praterie del continente americano. La Filarmonica di San Pietroburgo ha nel corso degli anni maturato un suono assolutamente personale, che rimane evidente anche in assenza del suo direttore principale. La brillantezza degli archi e, soprattutto, la corposità dei legni rimangono inconfondibili e costituiscono la cifra distintiva di questa formazione.

Più interlocutoria la prima parte del concerto che ha visto un’esecuzione Primo concerto per pianoforte di Čaikovskij in cui il dialogo solista-orchestra non sempre si è svolto in modo fluido. Il pianista, direttore e compositore Olli Mustonen, ha affrontato la tastiera in modo estremamente energico, in alcuni passaggi verrebbe da dire quasi aggressivo, scelta che talvolta è andata a discapito di una corretta articolazione ed intelligibilità del suono. Una lettura che aveva sicuramente una sua coerenza ma che si è risolta in una sostanziale bidimensionalità, che l’interpretazione ricca, sontuosa e chiaroscurata offerta invece dall’orchestra faceva risaltare ancora di più. Marin infatti ha operato uno straordinario lavoro di cesello della partitura, che peraltro si può dire ormai faccia parte del DNA della Filarmonica pietroburghese, staccando dei tempi che non sempre erano in linea con quelli di Mustonen. Salvo il secondo movimento, in cui anche il pianoforte è sembrato piegarsi ad una visione comune, sia nel primo, ma soprattutto nel terzo movimento, si è avuta la sensazione che solista e orchestra procedessero su vie parallele destinate ad incontrarsi solo di tanto in tanto.

Il pubblico, che esauriva il Teartro Filarmonico, ha comunque decretato il pieno successo della serata, con punte di entusiasmo al termine della nona sinfonia, ricambiate da una mirabile esecuzione di due danze ungheresi di Johannes Brahms, orchestrate dallo stesso Dvořak.