Recensioni - Cultura e musica

Trionfale escursione nel romanticismo al Sabbioneta Chamber Opera Festiva nel nome di Brahms

Al Teatro all'antica una selezione dei lieder del compositore di Amburgo nella raffinata esecuzione di Laura Polverelli, Leonardo Voltan e Mattia Fusi

Mirabile deviazione, in un cartellone interamente votato al barocco, il cammeo brahmsiano che ha concluso, lo scorso 8 novembre, la terza edizione del Sabbioneta Chamber Opera Festival ha visto il ritorno, sul palco del Teatro all’Antica, di Laura Polverelli. Interprete di rango internazionale, già applaudita in un intenso Das Lied von der Erde mahleriano con cui il Festival aveva aperto i battenti lo scorso anno, il mezzosoprano toscano, di fronte al pubblico raccolto nella platea dello scrigno rinascimentale voluto da Vespasiano Gonzaga, ha regalato un’ennesima, superba prova d’artista, immergendosi con totalizzante adesione – di parola, di accento, di passo - nel traboccante mondo di miniature audaci e profonde, attraversate da accesi chiaroscuri emotivi, che Brahms condensa in ogni sua creazione liederistica.

Mondi diversi, raggrumati nella spessa trama armonica che l’oro brunito di Polverelli, dotata di uno strumento vocale di imperiosa bellezza, accendeva di bagliori e di trasalimenti. Da Von ewiger Liebe e Die Mainacht, due gemme tratte dall’op.43, scritte con pennino ancora intinto nel fuoco della giovinezza da un Brahms non ancora ventenne, il percorso di ascolto si portava presto verso la stagione estrema della sua parabola creativa, quella delle ultime parole e delle piccole, straordinarie verità suggerite a mezza voce che abitano nell’op. 105, nell’ariosa Wie Melodien così come nella più introversa Immer Leise. Peccato non aver avuto davanti i testi e la rispettiva traduzione. Lì, nella parola che si fa suono, nel suono che si fa parola, l’ascoltatore avrebbe potuto cogliere ancor più pienamente la cifra del sommo Amburghese, l’insondabile profondità del suo sottobosco poetico.

Una restituzione che trovava ulteriore motivo di pregio nel dialogo insieme attento e appassionato con il violoncello di Leonardo Voltan e il pianoforte di Mattia Fusi, sì e no quarant’anni in due, ad una prima occhiata apparentemente impauriti dal palcoscenico eppure, non appena varcata la soglia della musica, capaci di una maturità sorprendente e gioiosa, e di una non comune predisposizione all’ascolto dell’altro. Sul tremendo sterrato dei sublimi Zwei Gesá¼…ange op. 91 per contralto, violoncello e pianoforte, il gioco a tre si faceva canto anche sulle cordiere, gioco di voci che scorrono da una linea all’altra delle parti, si inabissano e si riprendono in un’intesa di appassionante vividezza. Il sorgivo talento dei due musicisti, d’altronde, era già stato ampiamente appurato in apertura di concerto, al cospetto della Sonata op.38 in mi minore, dove la facilità strumentale di Voltan incontrava, a contrappuntarla, l’elegante misura del pianoforte di Fusi. Una vera serata da camera, un incrocio di generazioni.