Recensioni - Cultura e musica

Trionfo della musica “moderna” nel regno della classica

Nell’epoca in cui la musica leggera è dominata dai “canzonettari” quando ci si trova davanti a dei veri musicisti l’impressione ch...

Nell’epoca in cui la musica leggera è dominata dai “canzonettari” quando ci si trova davanti a dei veri musicisti l’impressione che si prova è molto forte. L’ammirazione per chi con serietà e competenza sceglie di affrontare un repertorio che, eseguito con i dovuti crismi, dimostra di non essere per nulla secondario, si mescola al piacere che l’ascolto suscita. Se poi alla grande perizia tecnica si aggiunge una straordinaria intelligenza interpretativa che supera la mera esecuzione ma arriva alla creazione di un vero e proprio spettacolino teatrale il risultato è una serata destinata a rimanere impressa nella memoria per molto tempo.
Tutto questo sono Max Raabe e la sua Palast Orchestra: un gruppo di eccellenti musicisti che oltre a curare i loro arrangiamenti delle musiche degli anni ’20 e ’30 con una meticolosa cura filologica, recuperano con grande ironia tutti gli stilemi esecutivi dell’epoca inserendo quindi le loro esibizioni all’interno di una cornice di grande efficacia. Per cui ecco il cantante che mollemente, ma con grande compostezza, si appoggia al pianoforte durante le sue pause; la violinista sempre con il sorriso stampato sulle labbra; gli ottoni che si alzano a tempo dai loro sgabelli negli assoli e così via, in una lunga serie di piccoli ma ricercatissimi particolari che sanno di antico ma che allo stesso tempo vengono attualizzati con spirito. A svolgere il ruolo di trait d’union l’eccellente Max Raabe nel ruolo di solista-intrattenitore che, esibendo una seriosità degna del miglior Buster Keaton e sfoggiando un italiano impeccabile nell’espressività, con un’atteggiamento finto sornione non ha mai abbandonato la presa sul pubblico per un solo istante.
La serata si è aperta con due brani di Kurt Weill, ovvero “Moon of Alabama” e “Tango ballade” tratto dall’Opera da tre soldi, in cui Raabe ha dato prova della sua impeccabile tecnica vocale che gli consente di passare con estrema disinvoltura dai registri bassi ai falsetti e di una perfetta dizione che gli consente di cesellare al meglio ogni parola. Attraverso Cole Porter e improbabili foxtrot orientali si è giunti ad una divertita esecuzione di “Who’s afraid of the big bad wolf” in cui i musicisti si sono prestati ad una piccola gag comica, per dare prova subito dopo del loro valore anche in campo prettamente strumentale grazie ad una rapinosa esecuzione di “Lady be good” di George Gershwin. Una scherzosa rivisitazione di “Sex bomb” di Tom Jones in chiave anni ’20 ha concluso la prima parte della serata.
La seconda parte si è aperta ancora nel nome di Weill con “Speak low” per passare a quello che a mio avviso è stato un autentico capolavoro: una straordinaria armonizzazione a 5 voci di “Ich bin von Kopf bis Fuss au Liebe Eingestellt”, ovvero la riproposta di un brano ormai classico in una chiave assolutamente nuova e di grandissima suggestione. Un vero gioiello che ha dato un tocco in più alla serata, che è quindi proseguita con ritmo sempre crescente in un’alternanza di canzoni tedesche, inglesi, italiane e sudamericane in cui i vari strumentisti hanno dato prova di grande eclettismo passando con disinvoltura dal sousaphon al contrabbasso, o dalla chitarra al violino, o dal sax al violino e alle percussioni.
Al termine calorosissimi applausi da parte di un pubblico entusiasta premiato da tre bis, uno dei quali indirettamente portatore di una riflessione non di poco conto: “Ma è possibile che noi italiani dobbiamo imparare come si cantano le canzoni di Bixio dai tedeschi?”

Davide Cornacchione 17/09/2003