
Venerdì 31 ottobre abbiamo assistito al Teatro Grande nell’ambito della stagione lirica ad un allestimento della Turandot di Giacomo Puccini, il teatro era abbastanza gremito di un pubblico in gran spolvero ma molto distratto. L’allestimento a cura dei te
Venerdì 31 ottobre abbiamo assistito al Teatro Grande nell’ambito della stagione lirica ad un allestimento della Turandot di Giacomo Puccini, il teatro era abbastanza gremito di un pubblico in gran spolvero ma molto distratto. L’allestimento a cura dei teatri del circuito lirico lombardo era sostanzialmente imbarazzante.
La regia affidata a Hiroki Ihara si limitava a illustrare l’opera con un coro sempre immobile impegnato in improbabili movimenti delle mani a ritmo di musica e con i cantanti abbandonati completamente a se stessi che nel migliore dei casi recitavano in modo convenzionale e nel peggiore si scalmanavano sulla scena, come accadeva per i tre ministri, senza alcuna relazione logica con il libretto e cambiando visione e postura del personaggio addirittura da un atto all’altro. La scenografia, a cura di Antonio Mastromattei, costruita su due livelli con degli specchi e una specie di tribuna circolare ingombrava senza mai essere suggestiva anche grazie alle pessime luci. Il culmine però si raggiungeva con i costumi di Tamao Asuka, che al di là dell’evidente incoerenza, Calaf principe fuggiasco era vestito come un nobile samurai, erano veramente poveri e spesso a livello di una scarsa recita oratoriale. Si passava da vestiti di sacco per il popolo a vestagliette di fodera azzurrina con parrucche cino-carnevalesche per le figuranti-ballerine, al mandarino che sembrava un misto fra un venditore di tappeti e un’illustrazione di fumetti giapponesi. Per il resto si trattava di un’accozzaglia di idee prese da allestimenti precedenti dell’opera, dall’imperatore Altoum su un trono sopraelevato, al vestito bianco della principessa quando incontra l’amore del principe, ai coriandoli che cadono dal cielo, a improbabili e mal fatte ombre cinesi che sembravano rubate ad un allestimento della Butterfly anni cinquanta.
Possiamo capire le ristrettezze economiche in cui si dibatte la cultura, ma non il cattivo gusto del tutto, la mancanza di coerenza e di idee. Meglio in questo caso proporre l’opera in forma di concerto.
Dal punto di vista musicale le cose non sono andate molto meglio. I migliori vocalmente sono risultati incredibilmente i tre ministri Ping Pong e Pang, interpretati da Leonardo Galeazzi, Enea Scala e Mert Sungu, che pur infagottati in improbabili costumi colorati sono riusciti a comunicare il personaggio attraverso il loro canto al di là delle scelte di regia, mostrando belle voci e una corretta e partecipe linea di canto. Metallica in qualche emissione ma sostanzialmente corretta e appropriata la Turandot di Elena Lo Forte, vista la difficoltà della parte un plauso al suo lavoro. Loredana Arcuri interpretava scolasticamente Liù, mentre Ernesto Morillo dava a Timur accenti generici e una voce decisamente d troppo chiara e di scarso volume soprattutto nelle note basse. Inconsistente il Calaf di Francesco Anile, recitazione immobile, canto stentoreo e senza sfumature, intonazione incerta e fraseggio confuso, azzecca l’acuto del “Vincerò” strappando l’unico applauso a scena aperta della serata. Mediocre il resto. Pietro Mianiti faceva il possibile con l’orchesta lirica I Pomeriggi Musicali per tenere insieme una serata da dimenticare.
Il distratto pubblico bresciano pare aver sonnecchiato per tutta l’opera per applaudire con cortesia alla fine.
R. Malesci (31/10/08)