Recensioni - Cultura e musica

Un’Iris moderna e stilizzata per il pubblico del Filarmonico

L’opera di Mascagni nel suggestivo allestimento formato da Federico Tiezzi in un teatro purtroppo semivuoto

È stato veramente un peccato che l’ormai ricorrente disaffezione del pubblico nei confronti della stagione lirica invernale della Fondazione Arena abbia penalizzato anche una proposta decisamente interessante quale il nuovo allestimento dell’Iris di Pietro Mascagni cui abbiamo assistito.
Il titolo del compositore livornese non gode certo della frequentazione di palcoscenico riservata alla ben più nota Cavalleria rusticana, pertanto una sua riproposta costituiva motivo di curiosità ed interesse. La partitura infatti, nonostante un libretto tra i più farraginosi della storia del melodramma e  qualche eccesso di retorica in ambito musicale, in più occasioni offre momenti accattivanti e di presa sul pubblico.
 

A questo si aggiunga che, sia l’aspetto musicale, sia soprattutto quello registico, erano estremamente curati,  si arriva alla triste conclusione che il pubblico veronese ha perso una buona occasione per godersi uno spettacolo meritevole di attenzione.
La produzione, firmata da Federico Tiezzi per il Teatro Verdi di Trieste, affiancato da Pier paolo Bisleri nelle scene e Giovanna Buzzi nei costumi,  si basava su una visione stilizzata e minimalista del Giappone, in cui elementi tradizionali (la casa del cieco, il giardino zen) si mescolavano ad aspetti più moderni (il locale di lap dance o le immagini provenienti dai manga). Il tutto si manteneva però in perfetto equilibrio creando immagini di grande suggestione.
Il versante musicale vedeva sul podio Gialuca Martinenghi, che ha saputo risolvere in maniera efficace i contrasti e le discontinuità della scrittura musicale.
Rachele Stanisci si è distinta nel ruolo del titolo, esibendo grande musicalità e tratteggiando in maniera efficace l’evoluzione del personaggio, da ingenua bambina a donna perduta.
Buona anche la prova di Sung Kiu-Park, intervenuto a sostituire il previsto Francesco Anile nel ruolo di Osaka. Il tenore coreano ha risolto le non poche asperità del ruolo grazie ad una linea di canto omogenea anche se a volte un po’ dura nell’emissione.
Da manuale il Kyoto di Bruno de Simone, a riprova che un grande artista, nonostante una lunga frequentazione dei ruoli di buffo, riesce a lasciare la sua impronta in qualunque tipo di repertorio.
Ruvido e poco musicale il Cieco di Manrico Signorini; efficace la Guecha di Francesca Signorelli.
Al termine il poco pubblico del Teatro Filarmonico ha comunque fatto sentire la sua presenza tributando applausi ripetuti e convinti a tutti gli artisti.

Davide Cornacchione 20 marzo 2012