
Dvořák, Gershwin, Bartók e Ravel nel programma proposto da Ingo Metzmacher alla testa dell’orchestra giovanile che ha inaugurato il Settembre dell’Accademia
Tradizionalmente considerata come la miglior orchestra giovanile del mondo la Gustav Mahlehr Jugendorchester ha pienamente confermato di meritare questo riconoscimento nel concerto inaugurale dell’edizione 2017 del Settembre dell’Accademia al Teatro Filarmonico.
Nata nel 1987 su iniziativa di Claudio Abbado che, dopo aver costituito l’Orchestra giovanile della Comunità Europea, voleva dare la possibilità anche ai giovani allora provenienti dai paesi dell’est di partecipare ad una formazione sinfonica, attualmente l’orchestra accoglie giovani musicisti provenienti da tutta Europa.
Il direttore Ingo Metzmacher, che la guida in questa tournée italiana in occasione del trentesimo anniversario dalla fondazione, ha scelto per Verona un programma quasi esclusivamente incentrato su musica del ‘900.
In apertura abbiamo ascoltato l’ouverture Nel regno della natura di Antonin Dvořák. Questa pagina, che non è tra le più ispirate del compositore, rientra in una serie di composizioni a programma che ne caratterizzano l’ultimo periodo. Un suo innegabile pregio è però la spontaneità nella descrizione dei colori e delle emozioni suscitate dai paesaggi della Boemia, esaltati in questa serata da una direzione estremamente vitale ed estroversa.
Vitalità ed estroversione hanno caratterizzato anche il secondo brano in programma: il Concerto in Fa per pianoforte e orchestra di George Gershwin che ha visto alla tastiera il raffinato Jean-Yves Thibaudet. La buona intesa con l’orchestra ha permesso al pianista francese di coniugare con gran disinvoltura l’aspetto classico e quello jazzistico che convivono nella partitura, sfoggiando la sua tecnica funambolica in particolare nel dinamico allegro finale. I ripetuti applausi del pubblico sono stati premiati da un più raccolto intermezzo di Brahms.
La seconda parte del concerto, i cui brani erano accomunati dal loro legame con la danza, sembrava invece impaginata appositamente per dare prova della grande compattezza e dell’altrettanta versatilità della formazione.
Nella suite del Mandarino meraviglioso di Béla Bartók le atmosfere espressioniste e la dirompente drammaticità hanno visto in Metzmacher un concertatore attento a trasmetterne il pathos ma allo stesso tempo a rispettarne gli equilibri sonori e nella Mahler un’orchestra compatta e capace di offrire una straordinaria tavolozza di colori grazie ad una perfetta intesa tra le singole sezioni.Esattamente agli antipodi erano le atmosfere evocate dalla successiva Suite n. 2 di Daphnis e Cloé di Maurice Ravel. Sonorità sfumate e rarefatte che evocavano una natura arcadica, idealizzata rese magnificamente da una direzione che tendeva a rifinire ogni dettaglio della partitura esaltandone gli impasti timbrici.
I tre movimenti si sono succeduti senza soluzione di continuità in un crescendo esploso negli accordi finali, accolti da applausi dapprima esitanti -il programma seppure coerente e raffinato non offriva nessun brano del repertorio più noto- e poi via via sempre più calorosi che però, nonostante le numerose chiamate non sono riusciti a strappare nessun bis.
Davide Cornacchione 8/9/2017