Il programma scelto per l’ultimo concerto del Settembre dell’Accademia si è aperto nel nome di un autore non particolarmente frequ...
Il programma scelto per l’ultimo concerto del Settembre dell’Accademia si è aperto nel nome di un autore non particolarmente frequentato in Italia: l’inglese Edward Elgar.
Consapevole di ciò, il direttore Mark Elder ha ritenuto opportuno introdurre la composizione in questione precisando in un buon italiano, che “In the south” è stato scritto dall’autore al ritorno da una vacanza trascorsa con la moglie ad Alassio e che in essa ha voluto inserire tutto ciò che ai suoi occhi ricordava l’Italia: i colori e la festosità della Liguria; la potenza di Roma e delle legioni che marciano lungo le sue strade; la dolcezza della serenata napoletana attraverso il lirismo del suono limpido di una sola viola. Nel suo insieme “In the South”, ouverture da concerto Op. 50, trasmette una sensazione di maestosità che scaturisce appieno da questa orchestra nella quale, singolarmente, si registra una marcata presenza femminile, in particolare negli archi.
Clou del concerto è stata, nel brano successivo, l’interpretazione del solista Nicolai Znaider: trentenne cosmopolita (nato in Danimarca da genitori polacco-israeliani) vincitore del primo premio al concorso Reina Elisabeth di Bruxelles nel 1997 e da allora segnalato come uno dei violinisti più rpromettenti. Dotato di talento, di una tecnica impeccabile e di una notevole sensibilità, ha eseguito con grande partecipazione il Concerto n. 1 per violino in Sol minore Op. 26 di M. Bruch, con una sensibilità ed una fusione di spirito con l’orchestra eccellenti, che hanno entusiasmato il pubblico. Come se questo non bastasse, Znaider ha regalato un bis che, semmai ce ne fosse stato bisogno, ha mostrato tutta la sua abilità tecnica omaggiando il pubblico di Verona una esecuzione di altissimo livello.
Questo talento indiscusso si è distinto nella seconda parte del concerti in una prova di grande umiltà: durante l’esecuzione della Sinfonia n. 8 in Sol maggiore Op. 88 di Dvorak si è unito agli archi, in quinta fila, seconda parte. Con gli occhiali sul volto si è confuso con gli orchestrali in assoluta semplicità e nel punto più lontano quasi a volersi dissimulare per non sottrarre attenzione all’orchestra. Quest’opera matura di Dvorak, che precede il capolavoro del “Nuovo mondo”, dimostra una grande inventiva ed allo stesso tempo una notevole padronanza della struttura compositiva. L’orchestra Hallé Manchester ne ha fornito un’interpretazione chiaroscurata ed estremamente calzante.
Per non lasciare un ricordo di inglesi freddi, Elder ha assecondato le richieste di bis ripescando nel “baule” dell’orchestra una partitura, presentata semplicemente come “un brano inglese che permetterà agli italiani di capire che i britannici non sono un popolo triste”; sulle note di una marcia molto vivace che rimandava alle arie tipiche delle cornamuse, allegre e colorate. Un finale di concerto volto quasi a stemperare la serietà delle composizioni precedenti, che ha congedato un pubblico entusiasta e concluso una rassegna che ha regalato importanti appuntamenti con la grande musica.
Valeria Bisoni 1 ottobre 2005