Recensioni - Cultura e musica

Un flauto per immagini

Il nuovo allestimento del Flauto magico di Mozart al Filarmonico dominato dalle videoproiezioni

Il Flauto magico di Mozart è un’opera che propone più livelli di lettura: la semplice favola  viene infatti spesso interpretata  come un percorso di iniziazione secondo i canoni di quella massoneria illuminata cui il librettista Schikaneder e lo stesso Mozart erano affiliati.
Per questa nuova produzione della Fondazione Arena al Teatro Filarmonico di Verona, il regista Marino Furlani ha preferito concentrarsi solo sull’elemento favolistico, evitando qualsiasi attualizzazione drammaturgica o ricerca nell’esoterico.

Grande importanza nell’allestimento avevano le proiezioni dei video artisti Masbedo, che nella prima parte occupavano quasi costantemente il fondale, mentre nella seconda si limitavano ad alcuni interventi sugli essenziali elementi scenografici progettati da Giacomo Andrico.
Questa scelta di affidare buona parte alle videoproiezioni ha limitato il lavoro di regia che, causa anche il palcoscenico vuoto per buona parte dello spettacolo, si è limitata a coordinare ingressi e uscite , gestendo i personaggi in scena in modo estremamente semplice e prevedibile.
Per assistere alla prima idea registica vera e propria abbiamo dovuto attendere sino ad un quarto d’ora dalla conclusione con la scena dello spogliarello di Papageno e Papagena; per il resto poco o nulla di originale si è visto.
A dire il vero poco aggiungevano anche le immagini, spesso  slegate dal contesto e montate senza alcuna corrispondenza ritmica con la musica. Se escludiamo la suggestiva realizzazione della prima aria della Regina della notte, le carrellate di boschi, capelli biondi e liquidi che gocciolavano spesso lasciavano il tempo che trovavano.
Fortunatamente nel secondo atto la prospettiva un po’ cambiava: la presenza di un elemento scenico rappresentante un tempio diroccato, grazie anche all’efficace lavoro di illuminazione di Paolo Mazzon, ha contribuito a creare momenti suggestivi.
Decisamente più riuscito l’aspetto musicale. Alla testa dell’orchestra della Fondazione Arena il giovane Philipp Von Steinacker ha impresso alla partitura un ritmo spedito e dinamico prestando però sempre attenzione alle varie dinamiche. I momenti brillanti sono stati caratterizzati con leggerezza mentre quelli più sacrali  non sono mai risultati appesantiti.
Adeguato anche il cast vocale che comprendeva lo spigliato e ben cantato Papageno di Christian Senn, il Tamino lirico ed espressivo di Leonardo Cortellazzi e la convincete Pamina di Ekaterina Bakanova.
La Regina della notte di Daniela Cappiello, nonostante i tempi più lenti staccati dall’orchestra durante le sue arie, ha mostrato più di una difficoltà nei sovracuti.
Insung Sim è stato un Sarastro dal timbro morbido e dall’emissione impeccabile; Marcello Nardis ha colto tutte le sfumature di Monostatos creando un personaggio ironico e sfaccettato e molto apprezzabile, nonostante la breve apparizione è stata anche la Papagena di Lavinia Bini.
Efficaci le tre dame di Francesca Sassu, Elena Serra e Alessia Nadin, apprezzabili anche i tre fanciulli di Federico Fiorio, Stella Capelli e Maria Gioia, penalizzati da un impianto scenico che li relegava immobili su una pedana addobbati come statuette votive.
Da segnalare anche Cristiano Olivieri e Romano dal Zovo (armigeri) e Andrtea Patucelli (Oratore).
Al termine un teatro esaurito in ogni ordine ha tributato a tutti applausi calorosi e convinti.

Davide Cornacchione 15 novembre 2015