Recensioni - Cultura e musica

Un granitico Schumann si specchia in un cristallino Mahler

Il quarto appuntamento della rassegna di settembre dell’Accademia Filarmonica di Verona si è aperto con il Concerto in la minore p...

Il quarto appuntamento della rassegna di settembre dell’Accademia Filarmonica di Verona si è aperto con il Concerto in la minore per pianoforte e orchestra di Robert Schumann in sostituzione del previsto secondo Concerto per pianoforte di Brahms.
Composizioni queste due abbastanza diverse per struttura e complessità che richiedono un approccio differente: infatti se in Brahms il dialogo pianoforte-orchestra è costante e quasi tende a penalizzare lo strumento solista al punto da essere ironicamente definito “sinfonia con pianoforte”, in Schumann l’abilità ed il virtuosismo del pianista tendono a spiccare maggiormente sull’orchestra che, pur svolgendo una funzione tutt’altro che accessoria, non ha certo il peso che riveste nell’opera del genio di Amburgo. Questo aspetto è stato notevolmente accentuato dall’esecuzione a cui abbiamo assistito al Teatro Filarmonico ad opera della pianista Hélène Grimaud accompagnata dall’Orchestra Sinfonica della radio di Stoccarda sotto la guida di Sir Roger Norrington.
L’interpretazione della Grimaud è stata intensa e vibrante, in funzione di una lettura in chiave romantica della partitura, che in più occasioni tendeva a coprire le sonorità più leggere ed asciutte che Norrington aveva impresso all’orchestra. Dei tre movimenti quello più equilibrato, anche come pesi sonori, è parso il secondo; mentre, sia nel primo che nel terzo, la passionale irruenza che scaturiva dalla tastiera, peraltro supportata da una tecnica eccellente che ha esaltato anche i passaggi più virtuosistici, ha decisamente rivestito la parte del leone.
Salutata al termine da applausi scroscianti la giovane pianista francese ha fornito un’ulteriore prova del suo energico pianismo in un bis di Rachmaninov.
Di natura diametralmente opposta è stata l’esecuzione della sinfonia n. 4 di Gustav Mahler che ha costituito la seconda parte della serata.
La più “aerea” delle sinfonie mahleriane, che chiude il ciclo delle Wundenhorn-Symphonien inaugurando uno stile più essenziale da contrapporsi alla monumentalità dei due lavori precedenti, è un’opera ambigua, nella quale, forse più che in altre, si nasconde un’ironia inquietante ed anche un po’ sinistra non del tutto estranea al compositore viennese. Il lied che la conclude e la riassume, qui appropriatamente eseguito dalla cantante Anu Komsi, si riferisce sì ad un bambino che parla di “Vita celestiale”, ma le immagini sono quelle di buoi scannati ed animali macellati, e, secondo un progetto iniziale in seguito modificato, a quest’ultimo avrebbero dovuto aggiungersi altri due lied sempre dal ciclo del Knaben Wundenhorn tra cui “La vita terrena”, il cui tema è quello di un bambino morto di fame.
Eppure il primo movimento inizia con il suono di sonagli, che ricordano la chiassosa allegria dei giochi dei bambini, ai quali tuttavia fa beffardamente eco un primo accenno di quella fanfara funebre che alcuni anni dopo aprirà la sinfonia n.5.
Norrington coglie a piene mani tutti questi spunti e ci consegna una lettura lieve e profondamente ironica, alleggerendo molto il peso orchestrale per consentire di cogliere appieno gli innumerevoli dettagli di una struttura contrappuntistica assai complessa ed articolata. Eccellente la risposta dell’orchestra che, sollecitata da una gestualità giocosa e divertita ma sempre puntuale, è riuscita a regalare impalpabili trasparenze nel terzo movimento dopo le grottesche atmosfere dello “scherzo”, nel quale si sono distinte le prove degli ottimi violino, corno ed oboe solisti.
Una chiave interpretativa estremamente affascinante quindi quella proposta da Norrington, che ha permesso di riavvicinarsi a quella che forse è la vera natura di Mahler (d’altro canto chi altri avrebbe potuto comporre una marcia funebre sul tema di Fra Martino?) e che in opere come queste emerge in modo più evidente.
Espunto dalla prima parte Brahms è riapparso nei bis con la danza ungherese n. 1 che ha concluso un concerto molto apprezzato dal pubblico.

Davide Cornacchione 16/9/2005