Recensioni - Cultura e musica

Una Giovanna più eroica che mistica

Nuovo allestimento di Giovanna d’Arco al Teatro regio di Parma in occasione del Festival Verdi

Compito di un festival musicale incentrato sulla figura di un solo autore è sicuramente quello di affiancare ai capolavori del grande repertorio le opere minori scarsamente rappresentate altrove. Opere magari non sempre riuscitissime, ma indispensabili nel tracciare il percorso stilistico del musicista in questione. È quindi da applaudire la scelta operata quest’anno dal Festival Verdi di Parma di scegliere come nuovo allestimento, e quindi come titolo centrale della rassegna, la parzialmente misconosciuta Giovanna d’Arco.

Scritta tra il 1844 e il ’45 quest’opera non gode ormai più della spontanea inventiva melodica dei primi lavori, quali Nabucco ed Ernani, ed allo stesso tempo non ha ancora raggiunto la maturità stilistica riscontrabile nella prima vera opera di svolta, ovvero Macbeth, ma si mantiene comunque all’interno di un solido professionismo. Pur non essendoci momenti di grande ispirazione, va sicuramente riconosciuto a Verdi di essere riuscito a trarre una partitura tutto sommato coerente da uno dei più brutti libretti che Solera abbia mai scritto e che l’intera storia del melodramma ricordi.
Ispirata all’omonima tragedia di Fiederich Schiller la partitura si sofferma sugli aspetti eroici della Pulzella d’Orléans, ponendone nettamente in secondo piano l’aspetto umano e soprattutto quello mistico, relegato ad alcuni cori che rappresentano le forze demoniache e quelle celesti e che  anticipano sonorità che in seguito ascolteremo nelle più mature streghe del Macbeth. I momenti migliori si trovano quindi  nel secondo e nel terzo atto, più lirici e più incentrati sul dramma interiore della protagonista, mentre nel prologo e nel primo atto emergono gli aspetti più eroici e quindi più retorici sotto il profilo musicale.
 Questo nuovo allestimento parmense  è stato affidato, per quanto riguarda l’aspetto visivo, alla sapiente mano di Gabriele Lavia che, affiancato da Alessandro Camera nelle scene ed Andrea Viotti nei costumi, ha saputo creare uno spettacolo di grande semplicità ma allo stesso tempo di profonda suggestione. Avvalendosi di un sipario su cui era rappresentata una scena di cavalleria di epoca risorgimentale, immagine ripetuta nelle quinte che delimitavano i vari ambienti, e grazie ad un sapiente uso di pochi elementi scenici e di luci di grande effetto, il regista ha creato immagini estremamente efficaci, pur mantenendosi sempre al servizio della musica e non tentando mai di prevaricarla, caratteristica tanto rara quanto preziosa nel moderno teatro d’opera.
Dal punto di vista musicale lo spettacolo era affidato alla sapiente bacchetta di Bruno Bartoletti, che ha operato un interessante lavoro di scavo della partitura, non incentrandosi tanto sull’aspetto battagliero-risorgimentale ma cercando di farne emergere l’ordito del tessuto musicale; scelta questa che ha permesso di apprezzare maggiormente il secondo ed il terzo atto.
Svetla Vassilieva è stata una Giovanna credibile sia vocalmente, esibendo una voce sicura ed eccellente tenuta nei virtuosismi, sia scenicamente, aiutata da una regia che ha cercato di evitare l’immobilismo oratoriale in cui spesso si incorre in titoli di questo genere. Evan Bowers è stato un Carlo dal timbro eroico e promettente, un po’monocorde nel fraseggio ma sicuramente una voce solida ed interessante. Grande fraseggiatore al contrario si è rivelato Renato Bruson nel ruolo di Giacomo che, seppur mostrando qualche segno di usura nelle note più estreme del registro, ha dato prova del suo straordinario timbro in una magistrale esecuzione dell’aria “Speme al vecchio era una figlia” e del duetto con Giovanna a conclusione dell’atto secondo.
Al termine un Teatro regio esaurito in ogni ordine ha tributato un meritatissimo successo ad uno spettacolo riuscito sotto ogni aspetto.

Davide Cornacchione 25 ottobre 2008