Recensioni - Cultura e musica

Una corte in lutto

Don Carlo nell’austero allestimento di Cesare Lievi ha inaugurato il Festival Verdi a Parma

Di tutte le opere di Giuseppe Verdi Don Carlo(s) è sicuramente quella dalla gestazione più complessa. Continue rielaborazioni, ripensamenti, riscritture, iniziati ancora prima del debutto, hanno fatto in modo che di questo titolo attualmente se ne possano allestire almeno quattro versioni differenti, due in francese, ovvero quella originariamente concepita da Verdi per Parigi e quella che poi effettivamente debuttò  nel 1867, e  due in  italiano, ovvero quella di Milano e quella di Modena.

Per questo nuovo allestimento si è scelta la versione universalmente più eseguita, ovvero quella scaligera del 1872, che si differenzia dalle altre per la mancanza dell’atto di Fontainebleau, nel quale Carlo ed Elisabetta si incontrano all’inizio dell’opera. Questa soluzione non si limita, come spesso si pensa, ad abbreviare l’opera, ma ne sposta il baricentro dalla coppia dei due amanti a Filippo II che ne diviene l’effettivo protagonista. Ottima quindi si è rivelata la scelta del teatro di incentrare l’allestimento su un artista del calibro di Michele Pertusi.
Il basso parmense ha sfoggiato un timbro pieno e corposo che gli ha permesso di delineare un Filippo II energico e autoritario in pubblico ma allo stesso tempo malinconico e tormentato nel privato. “Ella giammai m’amò” è stato il momento più applaudito dell’intera recita e la sua interpretazione ha contribuito a rafforzare la centralità del personaggio all’interno dell’opera.
Nel ruolo del titolo José Bros si è ben disimpegnato nonostante la una voce un po’ chiara. Gli acuti erano ben proiettati e la linea di canto sempre salda. Al suo fianco   Vladimir Stoyanov  è stato un Rodrigo dal fraseggio nobile e curato in particolare nell’applaudita scena della morte. Non sempre la voce aveva il volume necessario per emergere sull’orchestra ma il personaggio è stato delineato in modo estremamente appropriato ed è emerso in tutte le sue sfaccettature.
Ievgen Orlov, il Grande Inquisitore e Simon Lim, un frate, si sono distinti per il timbro robusto e adeguato ai rispettivi ruoli.
Sul versante femminile ambedue le protagoniste hanno fornito le loro prove migliori nella seconda parte dopo un inizio a tratti interlocutorio. L’Elisabetta di Serena Farnocchia è via via cresciuta in corso d’opera per culminare in un trascinante “Tu che le vanità”,  ed anche la Eboli di Marianne Cornetti, che può vantare una voce solida e imponente,  si è distinta più per l’intenso “O don fatale” che per la canzone del velo.
Sul podio Daniel Oren ha diretto con solido pragmatismo dimostrando di avere sempre il controllo della complessa partitura.
Ottima come sempre la prova del coro istruito da Martino Faggiani.
Dal punto di vista visivo lo spettacolo è pervaso dal concetto di lutto. La scenografia di Maurizio Balò è dominata dal marmo bianco della tomba di Carlo V che apre e chiude la rappresentazione e questo elemento ci accompagna in tutte le scene, quasi l’Escurial altro non fosse che un grande cimitero. D’altro canto, fatta eccezione per il rosso del Grande Inquisitore, è il nero il colore che domina in tutti i costumi.
All’interno di questo ambiente la regia di Cesare Lievi si dipana in modo sostanzialmente tradizionale, senza spunti particolari. La corte di Spagna è luogo austero in cui l’inginocchiatoio è onnipresente, in cui girano penitenti e flagellanti ed in cui  i frati sono sempre nascosti ad origliare.
Qualche idea interessante, quali le spade impugnate dal popolo che si trasformano in croci nella scena dell’autodafé o l’inizio del quarto atto in cui Elisabetta attraversa lo spazio scenico che via via si restringe, stridono con altre meno efficaci quali le mossettine delle dame durante la canzone del velo o Carlo che durane l’agonia di Rodrigo anziché avvicinarsi a lui se ne sta seduto sull’inginocchiatoio o Filippo II che di quando in quando perde la sua regalità spingendo a terra i suoi interlocutori.
Il pubblico ha comunque dimostrato sincero apprezzamento per questo nuovo allestimento tributando applausi convinti a tutti gli interpreti

Davide Cornacchione 5/10/2016