Recensioni - Cultura e musica

VERONA: Ernani senza romanticismo al Filarmonico

Ernani è opera romantica a tutti gli effetti, sia per il tema affrontato sia per lo stile del giovane Verdi che al momento della c...

Ernani è opera romantica a tutti gli effetti, sia per il tema affrontato sia per lo stile del giovane Verdi che al momento della composizione non aveva ancora completamente affinato una sua personalità musicale, pertanto riprendeva schemi tipici del melodramma sette-ottocentesco alla maniera di Donizetti e contemporanei.
In questo lavoro pertanto più che in molti altri si riconosce quella vena sanguigna “risorgimentale” caratteristica del giovane Verdi, elemento imprescindibile nel momento in cui si vuole affrontare questa partitura.
Purtroppo nell’allestimento veronese presentato al Teatro Filarmonico questa componente scompariva completamente sia nell’aspetto musicale che in quello visivo.
La direzione del giovane Marco Armillato, seppur tutto sommato corretta stemprava tutto in tinte pastello, essendo affatto priva di grinta e di quella veemente teatralità che qui sarebbe richiesta. Alla fine la concertazione si manteneva sempre in una zona abbastanza indefinita, che alla lunga risultava abbastanza priva di personalità. Discorso che valeva anche per i cantanti i quali tuttavia si sono mostrati sempre corretti e puntuali. Ad eccezione di Giorgio Surjan, vero trionfatore della serata, l’unico che oltre ad una eccellente padronanza del mezzo vocale sia riuscito ad infondere spessore e tensione al suo Silva, gli altri si sono limitati a cantare senza mai scendere sul piano dell’interpretazione. Sia per l’Elvira di Alessandra Rezza che per il Carlo di Vladimir Stojanov si può parlare di una buona prova dal punto di vista del canto ma di personaggi abbastanza incolori, mentre nel caso di Zvetan Michailov il suo Ernani era un po’ troppo duro anche nell’emissione per essere il vero tenore lirico che sarebbe lecito aspettarsi.
Per quanto riguarda l’aspetto visivo questo era curato integralmente da Pier Luigi Pizzi che aveva scelto di ambientare tutto in una struttura astratta di colore rosso intenso che sarebbe potuta andare bene almeno per altri 30 titoli operistici diversi, basata su scale che non conducevano da nessuna parte (e che a me francamente ricordavano più le geometrie della pittura trecentesca italiana che la Spagna del ‘500). A questa si sovrapponevano figure in costumi (invero bruttini) di colore nero o rosso, il che creava spesso un effetto tono su tono con le scenografie che spesso portava i personaggi a perdere i loro contorni quasi fossero camaleonti.
Totalmente assente la regia, che si limitava a far entrare ed uscire la gente dal palco ed a far scorrere avanti ed indietro due pannelli a proscenio che delimitavano lo spazio dell’azione in maniera non particolarmente efficace. In sostanza una soluzione estetizzante a “tableaux vivants” per un’opera che drammaturgicamente richiederebbe tutt’altro.
Il pubblico ha comunque gradito la riproposta di questo titolo assente da oltre un trentennio a Verona tributando calorosi applausi a tutti.
Davide Cornacchione 30/01/2005