Recensioni - Cultura e musica

VERONA: Harding e le due facce del classicismo

Una curiosa coincidenza ha voluto che, a distanza di una settimana, il Settembre dell’Accademia ospitasse due orchestre nate dalla...

Una curiosa coincidenza ha voluto che, a distanza di una settimana, il Settembre dell’Accademia ospitasse due orchestre nate dalla medesima formazione. Infatti sia la per la Prague Philarmonia Orchestra, ascoltata sei giorni fa, sia Mahler Chamber Orchestra, cui ci stiamo riferendo, devono la loro origine a musicisti formatisi nei ranghi della Gustav Mahler Jugendorchester.
Fondata nel 1997 su iniziativa di Claudio Abbado la Mahler Chamber Orchestra è riuscita in breve tempo ad affermarsi come una delle più prestigiose formazioni cameristiche a livello internazionale, al punto di divenire, a partire dal 2003, il nucleo dell’Orchestra del Festival di Lucerna.
Come già era accaduto lo scorso anno, anche in questa nuova tappa veronese l’orchestra si è esibita accompagnata dal suo direttore principale Daniel Harding.
Chi ha avuto modo di ascoltare l’evoluzione del direttore inglese sino dal suo debutto sulla ribalta internazionale, con il Don Giovanni di Mozart dieci anni fa, ha potuto notare come la giovanile irruenza che spiccava dalle sue prime esibizioni si sia stemprata attraverso un approccio più riflessivo nei confronti della partitura, senza però che si sia perso nulla dello smalto e di una certa esuberanza caratteristici del suo stile.
Il programma della serata, comprendente brani che oscillavano dal periodo classico al protoromanticismo, si apriva con la Terza Sinfonia in re maggiore di Franz Schubert. Composta nel 1815 questa sinfonia presenta una maggiore stringatezza formale rispetto alla precedente ed una scrittura che si ricollega alla sinfonia di stampo classico. Si tratta quindi di un lavoro che, se da una parte testimonia una maggiore consapevolezza tecnica dell’autore nell’affrontare la struttura sinfonica, dall’altra può essere visto in parte come un’opera di retroguardia, che strizza più l’occhio a Haydn che al contemporaneo Beethoven. Da qui una interpretazione di Harding estremamente equilibrata ma rivolta ad un certo classicismo di maniera, tuttavia spigliata e di grande trasparenza nella definizione dei singoli timbri.
Discorso diametralmente opposto invece per la Sinfonia K440, apocrifamente battezzata “Jupiter” di Wolfgang Amadeus Mozart, che ha concluso la serata. In questo caso abbiamo avuto modo di ascoltare un Harding profondamente analitico, attento ad esaltare ogni minimo aspetto contrappuntistico ed enfatizzare ogni contrasto, addentrandosi in una lettura di notevole coerenza, tuttavia molto particolare e forse non immediata. Il Mozart che abbiamo ascoltato è un Mozart dinamico ma estremamente chiaroscurato, che ha dovuto in parte rinunciare a quella contabilità che lo contraddistingue, a vantaggio di uno scavo minuzioso della partitura in cui ogni passaggio è stato enfatizzato con la complicità di un’orchestra estremamente attenta ad ogni indicazione proveniente dal podio.
Tra queste due composizioni abbiamo avuto modo di ascoltare il Concerto n.22 in la minore per violino e orchestra di Giovanni Battista Viotti interpretato dal violinista Augustin Dumay.
Nonostante quest’opera appartenga al periodo della maturità e quindi approfondisca maggiormente aspetti quali lo sviluppo tematico e l’orchestrazione, in essa emerge il tratto caratteristico dei concerti di Viotti, ovvero una grande propensione al virtuosismo del solista ed alla ricerca dell’effetto, spesso a svantaggio delle forme musicali.
Dumay ha dato prova di grande tecnica e grande sicurezza anche nei passaggi più ardui, ben supportato da Harding e dall’orchestra.
La serata si è conclusa tra gli applausi con un ultimo bis mozartiano.

Davide Cornacchione 22 settembre 2007