Recensioni - Cultura e musica

VERONA: I difficili ingranaggi del Grande Meccanismo del potere

Il Macbeth è il dramma di Shakespeare in cui viene più chiaramente esposto e messo a nudo quello che Jan Kott in un suo celebre sa...

Il Macbeth è il dramma di Shakespeare in cui viene più chiaramente esposto e messo a nudo quello che Jan Kott in un suo celebre saggio definisce il Grande Meccanismo del potere. In questa definizione si riassume un progetto che inizia con l’aspirazione al potere, prosegue con la sua conquista, che si realizza inevitabilmente in modo cruento, e termina con l’inevitabile autodistruzione del protagonista.
Questo tema attraversa gran parte dell’opera del poeta di Stratford: basti pensare al ciclo dei Re d’Inghilterra, ma è nel Macbeth, ovvero nella più breve e concisa delle sue tragedie, che viene esposto nella forma più lineare ed essenziale.
Da un tale prototipo di abilità drammaturgica, Giuseppe Verdi ha tratto quello che probabilmente è il suo vero capolavoro composto nel periodo antecedente alla svolta avvenuta con la “Trilogia popolare” (con buona pace di Ernani). Mantenendo sostanzialmente inalterato l’impianto della tragedia originale Verdi ha realizzato un vero e proprio dramma musicale in cui i due protagonisti vengono progressivamente risucchiati dalla spirale degli eventi che loro stessi hanno innescato, sino al loro annientamento.
Nel nuovo allestimento realizzato per la stagione invernale della Fondazione Arena di Verona, in coproduzione col Festival Verdi di Parma, la regista Liliana Cavani ha optato per una soluzione che coniugasse Verdi e Shakespeare allo stesso tempo. L’azione si è svolta infatti in una suggestiva riproduzione del Globe Theatre, abilmente realizzata dallo scenografo Dante Ferretti, all’interno della quale un pubblico, vestito in abiti anni ’40 del secolo scorso, assisteva al dramma recitato da attori in sfarzosi costumi di epoca elisabettiana, disegnati da Alberto Verso. Di per sé l’idea era molto stimolante: una popolazione che sta vivendo in prima persona una guerra che porterà al crollo di una tirannia è contemporaneamente spettatrice a teatro della parabola di potere e morte di un tiranno. Nonostante l’interesse suscitato inizialmente però, una volta capito il meccanismo questa soluzione non veniva più sviluppata in corso d’opera ma restava relegata sul fondo.
Per il resto, eccezion fatta per la scelta di trasformare le streghe in un gruppo di lavandaie, intese come rappresentanti di una sapienza popolare dalle radici profonde, la regia si svolgeva su binari sostanzialmente tradizionali, con una grande attenzione all’apparato scenografico nel connotare i diversi ambienti della vicenda.
Proprio questa soluzione alla fine si è rivelata come il maggiore limite dell’allestimento: infatti le lunghe pause necessarie per i complessi cambi scena si scontravano con la drammaturgia rapida ed essenziale del testo, portando a continui cali di tensione che impedivano la piena realizzazione del “Grande Meccanismo”. A ciò si aggiunga che, trattandosi di una ripresa allestita senza la partecipazione diretta della regista, spesso intenzioni e movimenti degli interpreti mancavano di quella precisione e quella pertinenza che avrebbero giovato ad un disegno così articolato.
Dal punto di vista musicale il ruolo del titolo era interpretato con grande autorevolezza da Leo Nucci che, confermandosi come uno dei baritoni d’elezione nel repertorio verdiano, si è avvalso della sua trentennale esperienza nel delineare un Macbeth a tutto tondo. Al suo fianco Raffaella Angeletti ha tratteggiato una Lady dalla vocalità sicura e spavalda, dotata di robusti centri ma allo stesso tempo capace di grande agilità nel registro di coloritura. Giorgio Surjan ha cantato un Banco austero e nobile, mentre Roberto Aronica è stato un Macduff dalla voce squillante e timbrata.
Buona la prova del coro, che si è distinto in “Patria oppressa”, ed anche dell’orchestra della Fondazione Arena diretta con precisione ed attenzione ai cantanti da Friedrich Heider.
Al termine il pubblico ha tributato a tutti un caloroso applauso e manifestando un particolare affetto nei confronti di Nucci.

Davide Cornacchione 15 febbraio 2007