Recensioni - Cultura e musica

VERONA: L’apollineo classicismo di Mehta

Il già ricco programma del Settembre dell’Accademia è stato ulteriormente arricchito da un concerto fuori abbonamento di altissimo...

Il già ricco programma del Settembre dell’Accademia è stato ulteriormente arricchito da un concerto fuori abbonamento di altissimo livello. In aggiunta alla stagione ufficiale, il Teatro Filarmonico ha infatti ospitato una tappa della tournée italiana della Israel Philharmonic Orchestra diretta da Zubin Mehta.
Si è trattato di un graditissimo ritorno, orchestra e direttore erano già stati ospitati al “Settembre” quattro anni fa, che ha ancora una volta ribadito quanto questa rassegna si sia consolidata come uno dei più importanti appuntamenti del sinfonismo a livello internazionale.
Preceduto da un commovente discorso di Mehta in ricordo di Luciano Pavarotti, di cui quel giorno si era celebrato il funerale, il concerto è iniziato con l’ouverture Leonora III di Ludwig Van Beethoven. Penultima, e indiscutibilmente più riuscita delle ouverture che il genio di Bonn compose per l’ unica sua opera lirica, Fidelio, questa composizione è considerata di fattura tale che spesso, anche se non prescritta, viene inserita nelle esecuzioni dell’opera stessa, all’inizio del terzo atto o durante il medesimo. L’esecuzione offerta da Mehta è stata impeccabile nella sua classicità, estremamente nitida, con un sapiente equilibrio tra i singoli gruppi orchestrali, perfettamente cuciti tra di loro senza la minima incertezza o sbavatura.
A questo esempio paradigmatico di interpretazione beethoveniana ha fatto seguito una altrettanto ispirata esecuzione di Verklärte Nacht di Arnold Schönberg nella versione per orchestra d’archi. La lettura offerta da Mehta di questa partitura si è proposta come l’esatta antitesi di quella ascoltata due anni fa ad opera dei Wiener Philharmoniker sotto la bacchetta di Pierre Boulez. Se per il musicista francese in quest’opera giovanile si potevano già intravedere le profonde lacerazioni che saranno emblema della musica novecentesca, e per questo evitava ogni sorta di abbandono, Mehta ne ha diretto invece una versione di struggente lirismo, dagli echi mahleriani, ribadendo il legame con l’originaria poesia di Richard Dehmel.
Gli archi della Israel Philharmonic hanno confermato di essere tra le migliori compagini a livello mondiale, dando prova di tale purezza ed omogeneità di suono, anche nei passaggi in cui il contrappunto si faceva più arduo, al punto che sembrava quasi di ascoltare la versione per sestetto d’archi.
La seconda parte del concerto era costituita dalla Sinfonia “Dal Nuovo Mondo” di Antonin Dvořak, che, nonostante il proprio nome, di americano presenta solo il luogo di composizione e l’eco di un motivo gospel nel primo movimento. I restanti temi infatti hanno un’origine abbastanza eterogenea, derivando sia dalla tradizione slava, sia dal ciclo delle canzoni indiane di Hyawatha. Nonostante ciò si tratta comunque di una delle composizioni più riuscite e più celebrate del musicista boemo. Anche di questa partitura Mehta ne ha fornito un’interpretazione estremamente equilibrata, supportata da un’orchestra in forma eccellente. Ognuno dei quattro movimenti è stato caratterizzato da un’esaltazione di colori ed allo stesso tempo da una perfetta coesione dell’insieme.
Le ovazioni di un Teatro Filarmonico esaurito in ogni ordine hanno portato ad un doppio bis di matrice viennese, ovvero l’ouverture delle Nozze di Figaro di Mozart ed un Walzer di Strauss.

Davide Cornacchione 8 settembre 2007