Newyorchese di nascita Murray Perahia nell’arco della sua carriera ha formato i sodalizi più significativi nella duplice veste di ...
Newyorchese di nascita Murray Perahia nell’arco della sua carriera ha formato i sodalizi più significativi nella duplice veste di solista-direttore sempre con orchestre inglesi. La sua collaborazione negli anni ottanta con la English Chamber Orchestra ha prodotto un’incisione dell’integrale dei concerti per pianoforte e orchestra di Mozart che resta tuttora l’edizione di riferimento in ambito discografico; ed ora questo nuovo rapporto con l’Academy of St. Martin in the Fields sta conducendo a risultati di altrettanto valore. Perahia è infatti, oltre che un eccellente virtuoso, un fine concertatore perfettamente in grado di plasmare un’orchestra al fine di assecondare al meglio le sue idee interpretative, e se ad accompagnarlo nell’esecuzione vi è una compagine di tale esperienza e duttilità quale l’orchestra in questione il risultato si conferma di altissimo livello.
Queste aspettative non sono state minimamente disattese nel concerto presentato al Teatro Filarmonico in occasione del “Settembre dell’Accademia” che si è aperto con un Adagio e fuga in do minore K 546 di Wolfgang Amadeus Mozart eseguito in modo impeccabile per tensione drammatica e ricchezza di sfumature. Nitidissime le linee melodiche delle singole parti soprattutto nella fuga che si è dipanata con intensità crescente sino allo stretto che ha concluso il brano in maniera decisamente coinvolgente. Ma è stato nella successiva composizione in programma, ovvero il Concerto n.1 in do maggiore per pianoforte e orchestra di Ludwig van Beethoven che si è potuto apprezzare appieno il valore degli esecutori.
Nell’interpretazione proposta per questo brano Perahia ha optato un Beethoven assolutamente neoclassico, come in fondo è giusto che sia, trattandosi di un’opera giovanile che risente ancora delle influenze dei suoi predecessori quali Mozart o Clementi. La lettura estremamente asciutta e precisa nulla ha concesso ad inflessioni romantiche, e questo si è evinto sin dalle prime note eseguite dall’orchestra, su cui in seguito si è inserito il solista con tocco rapido ma sempre espressivo, sempre in accordo con l’ensemble, sino alla rapinosa cadenza che ha concluso il primo movimento in modo esemplare. Discorso analogo per il secondo movimento in cui una lettura rigorosa ed estremamente lucida non ha compromesso minimamente il lirismo e la poesia della scrittura che al contrario il pianoforte ha magnificamente svelato. Nel terzo movimento, il più ispirato anche dal punto di vista compositivo, brio e dinamismo si sono manifestati nella perfetta simbiosi tra pianoforte e strumenti che qui ha raggiunto la sua vetta più alta strappando entusiastici applausi alla platea.
Lo stesso taglio interpretativo rigoroso e cristallino è stato mantenuto anche nella seconda parte del concerto dedicata interamente alla sinfonia n. 36 “Linz” di Wolfgang Amadeus Mozart. Pur trovandoci di fronte ad un’esecuzione di alto livello, estremamente brillante e fedele alla partitura, presentata con tutti i suoi daccapo, e che, soprattutto nei due movimenti finali, ha consentito all’”Academy” di dare prova di eccellenti perizia tecnica e versatilità, l’impressione che ho avuto è stata quella che al Perahia direttore mancasse qualcosa, ovvero il pianoforte. Infatti se questo eccellente esecutore è ottimo concertatore delle composizioni in cui si presenta anche come solista, nel momento in cui abbandona lo strumento e sale sul podio, le letture da lui fornite, pur di altissima fattura, non sono a mio avviso in grado di competere con le esecuzioni che lo vedono anche, o solo, al pianoforte.
Questo non ha comunque impedito di ascoltare una bellissima “Linz”, alla quale ha fatto seguito come gradito bis il finale della Sinfonia n. 92 di Haydn, ma, personalmente, tra un pianista fuoriclasse ed un ottimo direttore, scelgo il fuoriclasse.
Davide Cornacchione 10/09/2003