Recensioni - Cultura e musica

Venezia: Il gran ballo di Marie-Antoinette, regina del Settecento

Marie-Antoinette di Thierry Malandain, prima danzatore e poi coreografo con un repertorio di oltre ottanta creazioni che hanno calcato nel tempo palcoscenici di caratura internazionale, con i ballerini del Ballet Biarritz è approdato a Venezia, al Teatro La Fenice.

Il debutto dello spettacolo è avvenuto a Versailles nel 2019, all’Opéra Royal du château, che fu inaugurata nel 1770 per le nozze del delfino Louis-Auguste con l’arciduchessa austriaca Marie-Antoinette: un ritorno su ali di farfalla nei luoghi della Storia per la simbolica Regina del Settecento, come ebbe occasione di definirla lo scrittore suo conterraneo Stefan Zweig. Il salotto d’oro della Fenice ha ospitato nell’ultimo fine settimana di febbraio la prima rappresentazione italiana del balletto, in esclusiva, all’interno del ricco programma di lirica e balletto di questa stagione.

L’apertura del sipario è stata preceduta da echi di tuoni, o di colpi di cannone, a evocare il temporale che si narra costrinse ad annullare i fuochi d’artificio preparati per festeggiare le nozze reali. La traccia buia resta sospesa nell’aria, prima dell’arrivo delle musiche di Franz Joseph Haydn, presagio del destino nefasto che ben si conosce legato alle vicissitudini della Rivoluzione francese. Nubi color polvere da sparo e aria di dramma non aleggiano se non lontane nel corso del balletto, il nero avvolge solo nella scena finale intitolata “La tempesta: presto, a morte l’austriaca!” che annuncia l’epilogo cruento della vita della protagonista — “con il suono di una lacrima d’acciaio”, scrive Malandain nelle sue note allo spettacolo. Un taglio secco chiude un programma dove tutto si svolge nella cifra dell’eleganza e della raffinatezza, spesso nell’aria di un Carnevale che annuncia la primavera, anche grazie alla bellezza coriandolo dei costumi degni di una grande corte europea ma con un tocco di modernità curati di Jorge Gallardo. Claire Lonchampt ha impersonato una Marie-Antoinette altera, dalla luminosa biondezza incantevole, un’ape regina; Mickaël Conte ha vestito i panni di Luigi XVI; con loro, bravi danzatori che hanno interpretato altri personaggi legati alla sovrana che hanno lasciato la loro impronta o il nome impresso nella Storia, dall’imperatrice Marie-Thérèse, madre di Maria Antonietta, al conte di Mercy-Argenteau al favorito Axel von Fersen, una costellazione di aristocratici che facevano la bella vita nel Settecento, e che avevano come tutti i loro drammi personali seppur mitigati da ricchezza, agii e potere. Uomini e donne spesso legati da liaisons dangereuses di cui si snodano il fili appesi nel corso dello spettacolo.

Piene di grazia, le rappresentazioni danzate dell’amore anche carnale, che fu un cruccio in tanti sensi per la regina. Una ventina i danzatori sul palco, impegnati in un progetto corale che ha proposto il balletto classico contaminato da inserti moderni in una fusione molto armonica e riuscita — compare senza attrito anche un accenno a un famoso passo tormentone targato 2.0. Le musiche barocche di Haydn (la sinfonia n.6 in re maggiore Le matin, la n.7 in do maggiore Le midi e la n. 8 in sol maggiore, Le soir) che si contraddistinguono per l’utilizzo di strumenti come solisti, hanno scandito come nello spazio di un sol giorno i momenti scelti da Malandain per il suo racconto, in cui è dato risalto a celebri banchetti e a spettacoli teatrali e di danza che ebbero Marie-Antoinette come protagonista o spettatrice illustre, come ci narrano memoriali e documenti storici. Per citare l’età dell’agognata maternità di Marie-Antoinette, arriva in scena un bambolotto dal pallore inquietante abbracciato con tenerezza dai reali, che danzano sulle note di Orfeo e Euridice, di Christoph Willibald Gluck.

Sul palcoscenico della Fenice, enormi cornici celesti a intervalli scendono dalle “pareti” manovrate dai danzatori e diventano tavolo da banchetto o elemento conchiuso che va ad arricchire i quadri che di volta in volta il coreografo francese ha scelto di rappresentare. Sul fondale si alternano cieli dai toni tiepoleschi o azzurri e verde pallido, allorquando serve un richiamo a giardini e boschi di caccia e nella scena ambientata nel paesaggio pastorale del Trianon. Le scenografie improntate alla sottrazione creano un equilibrio di misura che esalta il piacere estetico: molto bella la scena in cui la regina danza avvolta dai ventagli dorati, un po’ uccello del paradiso e un po’ regina del varietà coi suoi boys; altrettanto spettacolari le danze con le ballerine avvolte in vestiti à panier e parrucca-turbante in tinta, anche qui col tocco “soubrette”, a sottolineare i piaceri della vita di corte e la passione per l’eleganza e la raffinatezza tanto cari alla regina in gioventù. L’amore per la ricerca, insieme a quello per la ricercatezza, è certo un elemento cardine per comprendere l’architettura di questo balletto, dove Malandain fa rivivere una storia non relegata nel passato ma ricca di germinazioni nell’attualità e conferma nel panorama della danza il ruolo della sua personale riscrittura del movimento.