In attesa dell’Olandese Volante autunnale, si è conclusa la parte primaverile della stagione operistica al teatro Filarmonico di...
In attesa dell’Olandese Volante autunnale, si è conclusa la parte primaverile della stagione operistica al teatro Filarmonico di Verona con un nuovo allestimento di Evgenij Onegin di Petr Il’ic Cajkovskij.
La storia di Puskin è molto nota : Onegin, giovane ricco alla ricerca di una motivazione di vita, uccide in duello l’amico Lenskij per un banale litigio sull’amore di una ragazza che Onegin corteggiava solo per scherzo. Dopo aver ucciso l’amico e dopo sei anni di esilio volontario incontra nuovamente Tat’jana, che prima del duello gli aveva confessato il suo amore ed era stata respinta da Onegin. Fra i due scatta ancora la passione, ma Tat’jana è ormai sposata al vecchio principe Gremin e decide nonostante tutto di restargli fedele.
Il dramma di Puskin è brillantemente condensato nei versi iniziali dalla Njanja di Tat’jana: “L’abitudine ci è donata dal cielo in luogo della felicità”.
Tutti i giovani protagonisti del dramma e conseguentemente dell’opera sono all’affanosa ricerca di un sogno. Il clima romantico in cui nasce l’opera è perfettamente delineato : Tat’jana legge avidamente romanzi di avventura e trasgredisce l’etichetta inviando lei stessa una lettera d’amore ad Onegin. Onegin stesso è troppo preso dall’idealizzazione di ciò che vorrebbe essere dichiarando sprezzante a Tat’jana di non essere adatto al matrimonio, mentre il povero Lenskij vive follemente e perdutamente il suo amore per Olga, sorella di Tat’jana, quasi in preda ai furori romantici di un novello Werther.
A questi personaggi giovani e talvolta ingenuamente ardenti fanno da contraltare i personaggi che si sono ormai lasciati fagocitare dall’abitudine. La madre di Tat’jana che da giovane leggeva i romanzi di avventura come la figlia, ma che poi è stata costretta a sposarsi in un matrimonio combinato e ha trovato la sua felicità dedicandosi alla casa. La Njanja Filip’ievna con una storia simile. Il principe Gremin, che canta in un’aria struggente e piena di poesia la sua ritrovata felicità di uomo anziano grazie all’amore fedele di Tat’jana.
L’opera di Cajkovskij riesce, con l’incanto di una musica raffinata e di un orchestrazione originale, a mantenere e ridonare allo spettatore tutte queste atmosfere. L’opera è priva di un personaggio negativo, le sofferenze dei protagonisti sembrano derivare dal lento passare del tempo, dalla giovinezza e dai sogni che inesorabilmente vengono inghiottiti nello scorrere di una vita borghese e anonima.
L’allestimento veronese curato dal regista russo Yuri Alexandrov si muove su un impianto sostanzialmente tradizionale con alcuni spunti innovativi azzecati. Particolarmente felice la trovata del duello, reso simbolico da una luce rossa che raggiunge lo sventurato Lenskij al momento dello sparo, così come quella dell’incontro fra Onegin, Gremin e Tat’jana dove l’arioso del principe fa da sottofondo ad una lentissima danza fra i due. Interessante anche la circolarità dello spettacolo che inizia e termina con la stessa scena immobile, quasi che tutto fosse un sogno della mente di Tat’jana. Le difficoltà invece si registrano soprattutto nelle scene di insieme in cui il movimento delle masse è abbastanza scontato e spesso farragginoso. Insignificanti e male eseguite le coreografie affidate al corpo di ballo diretto da Maria Grazia Garofoli. Tradizionali i costumi di Carla Teti e funzionali le scene di Graziano Gregori.
Tutti efficaci gli interpreti, aiutati anche dall’indubbia aderenza fisica alle parti, cosìcchè lo spettacolo si lasciava seguire piacevolmente risultando spesso coinvolgente. Il migliore della serata è stato sicuramente il tenore Viktor Afanasenko, che ha interpretato con slancio e ardore giovanile la parte di Lenskij. Avevamo già apprezzato alcuni anni fa il tenore russo a Macerata nella Carmen, ma sicuramente la sua voce e il suo stile interpretativo prettamente slavo vanno a nozze con il repertorio di casa. Corretto il baritono Nikola Mijailovich, interprete di Onegin, anche se ci saremmo aspettati una più spiccata aderenza interpretativa e maggior calore. Lo stesso dicasi per la protagonista Eteri Gvazava, coretta e fisicamente in parte, ma che lasciava abbastanza delusi nell’aria della lettera in cui evidenziava un timbro non felicissimo e una completa mancanza di sentimento nei confronti del suo personaggio. Buona l’interpretazione del basso Nikolai Bikov, anche se le note alte erano faticate pur in un’aria come quella del principe Gremin di non difficile esecuzione. Corretti e funzionali gli altri interpreti fra cui citiamo la Nianja Filip’ievna di Elena Kriatchko e il Triquet di Antonio Feltracco.
La direzione dell’orchestra dell’Arena di Verona era affidata al direttore russo Lev Shabanov, eccessivamente lento in alcune parti forse per agevolare i cantanti e che nelle scene di insieme avrebbe potuto dimostrare maggiore slancio. Successo caloroso da parte del poco pubblico presente. L’opera, interessante e nel complesso ben realizzata ed eseguita, avrebbe potuto restare in cartellone qualche sera in più delle quattro risicate repliche concesse dall’Ente Arena di Verona. (Giovedì 12 Aprile 2001)
R. Malesci