L’ottantunesimo festival lirico all’Arena di Verona è stato inaugurato da un sontuoso nuovo allestimento della pucciniana Turandot...
L’ottantunesimo festival lirico all’Arena di Verona è stato inaugurato da un sontuoso nuovo allestimento della pucciniana Turandot per la regia del russo Yuri Alexandrov e la direzione di Alain Lombard.
Alexandrov, che firmava anche le scene, ha puntato tutto su un impianto maestoso che mescolava purtroppo il bozzettistico con il simbolico affiancando una enorme sfera a centro palcoscenico con fondali dipinti o tridimensionali della più consolidata tradizione. Il tutto poteva dare inizialmente anche un colpo d’occhio gradevole ma imbalsamava via via l’opera in una scena fissa che lo sfrenato utilizzo di maschere e mimi con intento didascalico non riuscivano certamente a ravvivare. La regia infatti era di impianto sostanzialmente convenzionale e qualche accenno a movimenti di massa di tipo innovativo naufragava in continue e trite uscite ed entrate del coro e delle masse. Alcune buone intenzioni, quali quella di lavorare sul doppio dell’imperatore e sugli spettri/anime di Liù e Timur sul finale, non bastavano a risollevare una messa in scena turistica, più attenta a riempire il palcoscenico che a dare senso alla rappresentazione pucciniana. Anche il lavoro sui singoli risultava convenzionale scadendo poi nel banale soprattutto per le brillanti parti di Ping Pong e Pang che in questo caso risultavano a tratti persino noiosi.
Purtroppo anche dal punto di vista musicale l’opera veniva affossata da una direzione lenta e discontinua di Alain Lombard che non riusciva mai a trovare la giusta sintonia con il palcoscenico, staccando tempi confusi e ammantando tutta la serata di torpore. Da notare come non ci siano stati praticamente applausi, mentre di solito in Arena si avverte il problema contrario, cioè quello delle troppe interruzioni per i continui battimano di un pubblico spesso troppo ansioso di osannare i suoi beniamini.
Il colpo di grazia alla serata veniva dato da un cast vocale mal assortito e con cantanti impreparati che sono stati letteralmente risucchiati dalla vastità areniana. In questo contesto si salvava solamente la Turandot di Giovanna Casolla, che sebbene non più al massimo della forma dopo molti anni di carriera, dava una lezione di cosa significa cantare e soprattutto interpretare un personaggio. Degli altri è presto detto: il Timur di Hao Jian Tian e la Liù di Hei-Kyung Hong, seppur abbastanza corretti, non si ponevano minimamente il problema del personaggio e cantavano una sequenza di note incolori. Imprecisi e assolutamente privi di personalità Ping, Pong e Pang di Marco Camastra, Iorio Zennaro e Gianluca Floris. Inascoltabile il Calaf di Ian Storey che oltretutto raramente riusciva a superare l’orchestra. Corretto e ben impostato il Mandarino di Giuseppe Riva che però certo non poteva salvare, insieme alla professionale Giovanna Casolla una serata da dimenticare.
R. Malesci
(23 Luglio 2003)