
Trascinanti le performances di James “Blood”Ulmer e del Tempest Trio
Senza ombra di dubbio, il pubblico accorso a Corte Mercato Vecchio per accogliere l’atteso ritorno dell’annuale rassegna tardo-primaverile dedicata al jazz è rimasto stregato dalle performances di James “Blood”Ulmer.
Lo straordinario strumentista-cantante-compositore proveniente dal South Carolina, attraverso un “recital” tutto suo, ha dato dimostrazione, ancora una volta, del fatto di essersi nutrito, durante la sua straordinaria vita, di numerose espressioni musicali, tra i quali, il blues, il jazz, il Rhythm ‘n blues, il funck, il rock e la tradizione del canto gospel.
Legato spesso a imponenti progetti d’avanguardia e compagno d’avventura del creatore del free jazz Ornette Coleman, James Ulmer, incontrastato musicista duttile, completo ed “onnivoro”, ha saputo far comprendere al pubblico del Verona Jazz l’anima profonda della cultura afro-americana ed a far cogliere la consapevolezza che il blues è in grado di dar vita ad uno struggente senso di appartenenza verso una storia, una tradizione, un popolo.
L’esibizione di James Ulmer, accompagnato unicamente dalle sue profonde corde vocali, dal suono graffiante della sua chitarra e da tre docili campanellini allacciati alla sua caviglia destra, ha senza dubbio rappresentato, insomma, un irresistibile inno alla “musica del diavolo”: la madre del Jazz.
Durante la seconda parte della serata, tra le torri romaniche della Corte Mercato Vecchio che sin dal XII secolo si affacciano imponenti sulla piazza sottostante, un'onda fragorosa ed inaspettata si è letteralmente infranta contro il tempo, fermandolo. A dir poco entusiasmante è stata l’esibizione del Tempest Trio che, con musica fatta di aggressività e passione, ha presentano in una riuscita rivisitazione in chiave jazzistica La Tempesta di Shakespeare.
Daniele D'Agaro, sassofonista e clarinettista, nonché creatore del progetto portato in scena al Verona jazz, è stato innegabilmente in grado di entusiasmare gli spettatori con continue ed accattivanti improvvisazioni inserite all'interno di composizione classiche.
Ottimi gli interventi di Bruno Marini all'organo, che ha sedotto con le sue pennellate vibranti e ardite, così come efficaci gli accompagnamenti del monumentale Han Bennink, decisamente insuperabile nell'esprimere la sua energia vitale attraverso una batteria che si trasforma ogni volta in un'estensione della sua anima ribelle.
Donata Luani, 18.06.2008