Recensioni - Cultura e musica

Viaggio nell'inconscio di Peer Gynt

Il dramma di Ibsen al Teatro Filarmonico accompagnato dalle musiche di scena di Edvard Grieg

Attanagliate dalla continua riduzione di fondi alla cultura e costrette ad organizzare stagioni che costino sempre di meno per non dover dimezzare il numero delle sere di rappresentazione, alcune fondazioni liriche  hanno recentemente trovato un nuovo escamotage: allestire spettacoli abbinando ad un testo teatrale le musiche di scena scritte da celebri compositori.
Apripista è stato l'anno scorso il Teatro Regio di Parma con il "Sogno di una notte di mezza estate" di Shakespeare accompagnato dall'omonima partitura di Mendelssohn, seguito adesso dalla Fondazione Arena che al Filarmonico ha presentato il Peer Gynt nella versione Strindberg - Grieg.

Diciamolo subito: se realizzare un'impresa del genere con il Sogno è relativamente facile, con il Peer Gynt le cose si complicano non poco.
Infatti per la lunghezza, la complessità ed il numero di attori richiesti, una rappresentazione integrale del testo norvegese richiederebbe sforzi ai limiti dell'insostenibile, sia per l'ente produttore che per il pubblico. Per questo al Filarmonico è andata in scena una riduzione la cui funzione era innanzitutto quella di raccordare i vari momenti musicali.
Il regista Pier Paolo Pacini, dovendo imprimere un taglio drammaturgico, ha scelto di andare in una direzione intimista, interpretando il viaggio di Peer come una ricerca interiore: un viaggio nel suo inconscio, immerso in una dimensione onirica. Il protagonista in realtà non si allontana mai dalla sua stanza e dal  suo baule, oggetto dal quale riaffiorano tutte le memorie ed intorno al quale ruotano le due figure femminili che segneranno tutta la sua vita, ovvero la madre Aase e la fidanzata Solveig. Per questo il compito di dipanare l'intricata matassa spetta alla figura del mago che, volta per volta, assume le fattezze dei vari personaggi che Peer incontra nel suo percorso.
Questo tipo di lettura, il cui abbinamento con le musiche funziona decisamente bene nella seconda parte dopo la morte di Aase, ovvero quando le vicende di Peer evolvono verso una direzione più "umana", mostra invece i suoi limiti nella prima parte. L'inizio del Peer Gynt è infatti molto allegorico e Grieg ha attinto a piene mani da queste allegorie per comporre la sua musica. Ecco quindi che scene come quelle dei Trold risultano abbastanza incongruenti e poco comprensibili a chi non conosca già il testo.
Ad ogni modo l'operazione riserva più di un motivo di interesse, grazie anche all'energica interpretazione dell'ottimo Daniel Dwerryhouse nel ruolo di Peer Gynt che praticamente tiene tutto lo spettacolo sulle sue spalle.
Adeguati partner si sono rivelati Teresa Fallai nei ruoli di Aase e Solveig  e Roberto Gioffrè nell'eclettico Mago.
La scenografia, disegnata dallo stesso Pacini,è molto essenziale ed affida completamente all'abilità attori, ed in minima parte alle luci, qualsiasi cambiamento di situazione.
Peter Tiboris alla testa dell'Orchestra e del Coro della Fondazione Arena ha diretto in maniera appropriata ma senza addentrarsi troppo nelle pieghe della partitura, che pertanto è scivolata via senza destare particolari impressioni.
Le due canzoni sono state affidate alla voce di Elena Monti che è sembrata più a suo agio nella tessitura di Anitra che non in quella di Solveig.
Il pubblico, che purtroppo anche in quest'occasione disertava in parte la sala del Filarmonico, ha applaudito cordialmente.

Davide Cornacchione 12 marzo 2011