Recensioni - Cultura e musica

Vincere

Superba regia di un film che racconta anche la storia dietro le quinte e che ricorda i capolavori del muto

Un film di Marco Bellocchio.

Con Filippo Timi, Giovanna Mezzogiorno,
Fausto Russo Alesi, Michela Cescon, Pier Giorgio Bellocchio, Corrado Invernizzi,
Paolo Pierobon, Bruno Cariello, Francesca Picozza,
Simona Nobili, Vanessa Scalera

Drammatico, durata 128 min. - Italia, Francia 2009.


Seguendo sullo schermo le vicende di Ida Dalser, giornalista trentina che s’innamorò (ricambiata) di Mussolini, che forse si sposò con lui, che gli diede un figlio, Benito Albino, legalmente riconosciuto, che vendette il suo salone di bellezza ed i gioielli per aiutare l’uomo che adorava a portare avanti il suo giornale “Il popolo d’Italia”, e che finì tragicamente i suoi giorni (come il figlio, anche se in luoghi diversi) in un manicomio, dopo anni di torture mediche e psicologiche, ho pensato che è una peculiarità femminile quella di amare
fino alla totale dedizione ed all’autodistruzione.  Ma c’è nella figura di Ida una grandezza tragica e storica che Bellocchio evidenzia, e la storia della donna trascorre parallela a quella dell’Italia del tempo, persa e accecata nella follia totalitaria del fascismo e dell’uomo che la impersonava. Giovanna Mezzogiorno e Filippo Timi, sotto la guida di tal regista, diventano protagonisti eccellenti, e toccano ogni corda dell’espressività affine ai loro personaggi in un melodramma cupo alla Matarazzo, ma senza il lieto fine.
La spietatezza del potere distruggerà la vita di Ida Dalser, che si rifiuterà sempre di tacere e di essere ipocrita, anche se il suo è il tempo in cui la verità non si può gridare, e ognuno deve svolgere il suo ruolo da attore, come le consiglierà uno psichiatra. Il figlio verrà anch’egli annientato, paradossalmente, da questa verità  che nessuno vuole, perché scomoda e inopportuna.
Bellocchio ha preso spunto dal libro di Marco Zeni “Il figlio segreto del duce”
e dal documentario Rai di Laurenti e Novelli, ricorre anche ad immagini d’archivio dell’Istituto Luce, e pervade tutto il film di riferimenti cinefili,  da René Clair ad Eizenstein a Chaplin, perché la sua opera è al contempo una ricerca storica,
un’analisi psicanalitica, un avvertimento per chi vuol capire, e una totale, commovente dichiarazione d’amore per il cinema e la sua funzione intellettuale, visiva ed emozionale a trecentosessanta gradi. Si avvale di collaboratori magistrali, Francesca Calvelli per il montaggio dinamico e perfetto, Daniele Ciprì per la splendida fotografia, Carlo Crivelli per la colonna sonora da brivido.
Insieme a Gomorra e a Il divo, è questo il cinema italiano che non teme confronti.

Elena Bettinetti