Recensioni - Cultura e musica

Wiener, Boulez e la fine del Romanticismo

I Wiener Philharmoniker rientrano in quel ristrettissimo novero di compagini orchestrali che suscitano immediato interesse qualsia...

I Wiener Philharmoniker rientrano in quel ristrettissimo novero di compagini orchestrali che suscitano immediato interesse qualsiasi sia il programma che eseguono, al punto che si può quasi paradossalmente affermare che la principale attrattiva sia costituita dall'orchestra più che dal compositore affrontato. Ovviamente si tratta di un'esagerazione, anche perché nella musica il binomio autore - interprete è assolutamente inscindibile; tuttavia il poter ascoltare tale formazione diretta da uno dei più grandi musicisti dell'ultimo mezzo secolo, quale Pierre Boulez, costituisce da solo motivo di sicuro interesse. Pertanto, nonostante il termine sia ormai sin troppo abusato, il debutto veronese dei “Wiener” in occasione del Settembre dell'Accademia Filarmonica può fregiarsi a pieno titolo dell'appellativo di Evento musicale dell'anno.
Il programma presentato per l'occasione verteva su due composizioni che fanno parte di quel periodo che conclude il grande romanticismo mitteleuropeo, ovvero “Notte trasfigurata” di Arnold Schönberg e la Sinfonia n.7 di Anton Bruckner.
Come tutte le composizioni nate per un complesso cameristico e poi trascritte per grande orchestra, anche "Notte trasfigurata" di Schönberg risente in questa versione di una perdita di incisività rispetto alla stesura originale. Il complesso gioco contrappuntistico che emerge dal sestetto d'archi viene in un certo senso diluito da questa sua rielaborazione più distesa e magniloquente. A questo proposito viene alla mente un altro paragone altrettanto illustre, ovvero quello del quartetto “La morte e la fanciulla” di Schubert, che risulta parecchio alleggerito di drammaticità nella versione orchestrale trascritta da Mahler.
Ad ovviare in parte questo inconveniente ha provveduto il taglio lucido ed asciutto che ha impresso alla partitura Boulez, il quale, profondo conoscitore del ‘900, ne ha messo in risalto la struttura armonica evitando qualsivoglia sorta di abbandono. Uno Schönberg giovane quindi, che però già in questa composizione, attraverso l’esasperato esercizio della modulazione, contribuisce a sgretolare le ultime istanze di tonalità ereditate dal romanticismo, e di cui Boulez ha voluto sottolineare la modernità.
Magnifica l’esecuzione dei 60 archi dei “Wiener”, che hanno dato prova di straordinaria omogeneità nel timbro, assecondando in maniera sublime qualunque indicazione dinamica od espressiva venisse dal podio.
La Sinfonia n.7 di Anton Bruckner, su cui si è incentrata la seconda parte del programma, costituisce un unicum nella produzione del musicista austriaco, infatti si tratta forse dell’unica occasione in cui una sua composizione registri una qualche relazione con la società circostante. Il secondo movimento consta infatti di una lunga marcia funebre scritta in occasione della scomparsa di Richard Wagner; quel Wagner a cui Bruckner aveva già dedicato la sua terza sinfonia e che considerò sempre una sorta di padre spirituale. Da molti considerata il suo capolavoro questa partitura mostra una maggiore solidità rispetto ai lavori precedenti e trova nell’epicedio Wagneriano la sua vetta assoluta.
Evitando ogni retorica magniloquenza Boulez ha optato anche in questo caso per una lettura che rifuggisse trionfalismo e pomposità, soprattutto nel terzo e quarto movimento. L’esecuzione si è risolta in un finissimo gioco di equilibri tra le singole sezioni orchestrali nella ricerca di profonde raffinatezze sonore. Pleonastico sottolineare la compattezza e la versatilità degli strumentisti che hanno rivelato un Bruckner estremamente luminoso e sfaccettato.
Meritatissime ovazioni al termine da parte di un Teatro Filarmonico esaurito in ogni ordine al quale, purtroppo, non sono stati concessi bis.

Davide Cornacchione 27/09/2005