Recensioni - Teatro

A Verona “Il marito invisibile” di Edoardo Erba

Breve e simpatico divertissement per una riflessione sulla comunicazione e sulla società mediatica

Terzo appuntamento della stagione al Teatro Nuovo di Verona con un piccolo testo del drammaturgo Edoardo Erba: “Il Marito Invisibile” interpretato da Maria Amelia Monti e da Marina Massironi. Regia dello stesso autore.

Si tratta di una breve e simpatica messa in scena in cui due amiche parlano tra loro, non di persona, ma attraverso la mediazione di una piattaforma sociale. Per cui sul palco troviamo due tavoli con davanti due telecamere: le attrici si siedono e recitano verso la telecamera, mentre l’immagine viene proiettata su due schermi affiancati posti in alto a proscenio.

Due donne isolate che dialogano in maniera abbastanza convenzionale, fino a quando una delle due (Marina Massironi), non confessa di essersi sposata con un uomo invisibile, della cui realtà, ovviamente, l’amica dubita. La storia prosegue spigliata, a tratti divertente, fra un collegamento e l’altro, fino a quando anche l’amica incredula (Maria Amelia Monti) riceve la visita del “marito invisibile” con cui si lascia coinvolgere, suo malgrado, in una relazione. La confessione finale fra le due amiche avviene abbastanza velocemente e la pièce si conclude con ironica dolcezza, essendo le due forse riuscite a ricostruire un rapporto che avevano perduto.

Brave e simpatiche, Maria Amelia Monti e Marina Massironi conducono con perizia il gioco scenico confermandosi professioniste solide e capaci di spiccata ironia e verve comica. Il tutto è un divertissement senza troppe pretese, anche se, dato il recente periodo di isolamento forzato, solleva diversi e interessanti risvolti e anche qualche pregnante interrogativo.

Certo resta il fatto di un accadimento teatrale proposto con un medium diverso in una sala teatrale, e forse proprio in questo sta il sugo dell’esperimento. Le due attrici sono presenti, entrano ed escono, si accomodano al loro tavolo, ma, quando parlano, lo sguardo del pubblico è inevitabilmente attratto dallo schermo, per cui alla fine la fruizione è prettamente televisiva: si guarda lo schermo non l’attrice che recita.

Ci si aspetterebbe un’interazione “dal vivo” nel finale, anche per variare uno stilema che risulta ripetitivo nel breve volgere dell’oretta di durata dello spettacolo, ma questo non avviene. Così il dubbio sorge: era necessaria la presenza delle attrici? Non potevano anche essere altrove? Ho assistito ad un evento teatrale o a qualcosa di altro? La riflessione indotta dallo spettacolo forse, più che nel testo, sta proprio in queste domande: nel senso del teatro, nella relazione dal vivo fra attore e spettatore.

Dopo gli applausi le attrici vengono a proscenio e invitano il pubblico a sostenere una buona causa, in quel momento ci accorgiamo che solo in questa occasione le abbiamo veramente guardate, senza altro medium in mezzo; solo per pochi minuti ci hanno parlato direttamente, senza microfono e schermo.

Alla fine salutano il pubblico, sono lì in carne e d’ossa, se ne vanno. Uscendo cade l’occhio sui due maxischermi. E resta un po’ di rimpianto.

R. Malesci (20 Novembre 2021)