
Quando attualizzazione fa inevitabilmente rima con banalizzazione
Debutto al Teatro Romano di Verona per Otello di William Shakespeare, con la drammaturgia molto libera di Dacia Maraini e la Regia di Giorgio Pasotti.
Lo spettacolo è presentato come “di” William Shakespeare, ma sarebbe meglio indicare “da” William Shakespeare. Della tragedia infatti rimane molto poco, in un tentativo di attualizzazione e tutti i costi che banalizza la fine psicologia dei personaggi del bardo.
La semplificazione snatura completamente la tragedia. Otello non è un pazzo come messo in scena a Verona; Desdemona non ammette di aver perso il fazzoletto dopo poche battute; Jago non è un cattivo televisivo, ma un fine manipolatore; il padre di Desdemona muore di crepacuore, non ritorna a Cipro per consolare la figlia sventurata; Cassio non urla proclami di vendetta giustizialista verso Jago nel finale. Non si tratta di purismo. Di Shakespeare si può far di tutto a patto che se ne mantenga la complessità e la profondità. Basti pensare alle messe in scena dissacranti dei Porpeller di Edward Hall o alla stessa Royal Shakespeare Company per averne conferma.
Purtroppo il bardo non regge alla banalizzazione, non è contemporaneo nel senso che non gli appartengono il proclama univoco, la semplificazione, il bianco e nero. A Verona abbiamo visto una soap opera ispirata ad Otello: buoni e cattivi, sani e pazzi, concetti semplici, grandi verità e certezze moraleggianti. Niente che riguardi Shakespeare, niente che riguardi il teatro.
La scenografia, firmata da Giovanni Cunsolo, riprende pedissequamente quella della celebre e storica Traviata degli Specchi, ideata nel 1992 a Macerata da Josef Svoboda con la regia di Henning Brockhaus. Per quanto sempre bella ed efficace, con l’idea dello specchio che riflette le tele dipinte sul pavimento e alla fine il pubblico stesso, forse si poteva trovare una soluzione che non fosse tratta direttamente da un libro di scenografia teatrale. I costumi di foggia orientale, completamente slegati dalla drammaturgia, sono di Sabrina Beretta.
Regia e messa in scena ricalcano inevitabilmente una serie di stereotipi televisivi. Onnipresente e disturbante la musica di sottofondo quasi in ogni scena: in televisione funziona, a teatro no. Recitazione impostata per eccessi: se sei arrabbiato urla molto, se sei disperata piangi e mettiti le mani nei capelli, per variare abbassa la voce e così di seguito. Le cose migliori sono le provocazioni che nulla c’entrano con Shakespeare: il Doge che entra cantando i Queen e parlando un misto di inglese e napoletano, oppure la disfida a Kendo fra Otello e Jago, scena senza motivazione, ma almeno bella da vedere.
Fra gli attori alla fine il migliore è Salvatore Rancatore, che nella piccola parte del Doge azzecca una macchietta efficace; diverte, è preciso e a suo agio sul palco. Acerbo l’Otello di Giacomo Giorgio, preoccupato della tecnica, risulta statico, buttando via la carica giovanile che poteva essere la cifra vincente del personaggio. Claudia Tosoni, sopra le righe, non convince come Desdemona. Giorgio Pasotti interpreta uno Jago statico e poco espressivo, molto lento nel ritmo. Completano il cast: Davide Paganini, Gerardo Maffei, Andrea Papale, Anna Dalia Aly.
Raffaello Malesci (Giovedì 10 Luglio 2025)