
Alberto Rizzi dirige una versione ridotta della celebre commedia di Tom Stoppard
Rosencrantz e Guildenstern sono morti di Tom Stoppard, celebre commedia che ha debuttato a Edimburgo nel 1966, inaugura l’edizione 2025 dell’Estate Teatrale veronese.
Commedia iconica ed esemplare del drammaturgo ceco naturalizzato inglese, la parodia di Amleto, visto da due personaggi secondari come Rosencrantz e Guildenstern, rimarrà il testo giovanile più emblematico e forse irripetibile per successo e originalità di Tom Stoppard, accomunato con molti altri della sua generazione, pensiamo ad Arnold Wesker con la sua Cucina, o al Ricorda con Rabbia di John Osborne, ad essere inevitabilmente incatenato al suo lavoro di maggior successo.
Si tratta a tutti gli effetti di una parodia, Stoppard ne farà molte altre, in cui la storia si svolge sullo sfondo della tragedia di Amleto. Un lavoro sul teatro nel teatro, sulla convenzione teatrale, sul vero e sul falso della recitazione, ma principalmente una commedia, come sottolinea lo stesso autore nella sua prefazione: “…Rosencrantz e Guildenstern sono morti è innanzitutto una commedia. Intendevo creare un testo comico e se il risultato non fosse stato divertente riterrei di aver fallito.”.
Alberto Rizzi, che a Verona ha curato la regia e immaginiamo anche la drammaturgia dello spettacolo, opta per una versione ridotta della commedia, con cinque attori in luogo dei tredici previsti dal testo originale ed opera numerosi tagli.
La scena di Luigi Ferrigno si ispira alla commedia dell’arte italiana, con al centro una baracca in legno, che aprendosi e rivelando scale e doppi fondi, ha la pregevole caratteristica di permettere l’agile cambio in vari ambienti organizzati su due livelli. Certo non si può non notare che la scena tende ad essere minimale in un palcoscenico delle dimensioni del teatro Romano di Verona. I costumi, non firmati, richiamano fogge shakespeariane tardo cinquecentesche.
Rosencrantz e Guildenstern sono rispettivamente Francesco Pannofino e Francesco Acquaroli, mentre gli altri, Paolo Sassanelli, Andrea Pannofino e Chiara Mascalzoni, si devono accollare tutti i restanti ruoli.
La commedia procede abbastanza fedele all’originale fino a circa la metà del secondo atto, ovvero fino alla scena che nell’Amleto corrisponde alla recita degli attori girovaghi dell’assassinio di Gonzago. Da qui in poi Alberto Rizzi interviene pesantemente, anche perché in cinque è oggettivamente impossibile mettere in scena quanto immaginato da Stoppard. Perciò la scure si abbatte sull’intera seconda parte del secondo atto e il tutto viene risolto interpolando nell’assassinio di Gonzago una pantomima prevista invero alla fine del terzo atto. Da qui in poi quasi tutte le scene di Amleto vengono tolte o ridotte all’osso, mentre del terzo atto rimangono in sostanza i dialoghi fra i due protagonisti. Tagliate le scene di insieme, mentre per mantenere la comprensione viene addirittura inserito il Re d’Inghilterra non presente nel testo originale. La commedia non si conclude con il finale dell’Amleto di Shakespeare come previsto, ma con una riflessione dei due davanti alla morte fin troppo seriosa.
Il corto circuito comico della drammaturgia di Stoppard si basa sui commenti meta teatrali dei protagonisti in relazione a quello che vedono, ovvero la storia recitata di Amleto. Storia che non comprendono e a cui danno una lettura parodistica, ovvero inappropriata, fuorviante, di conseguenza a tratti anche illuminante. Il pubblico, che invece la storia di Amleto la conosce, ride della dabbenaggine di questi clown ignari, inconsapevoli, divertenti e forse alla fine anche un poco saggi. Se togliamo questo alla commedia di Stoppard, il tutto sembra una riflessione colta fra due filosofi sulla finzione teatrale, l’età degli attori e una certa flemma senile ha contribuito a questo. Insomma si rischia di trasformare una commedia in una riflessione sull’attore, più adatta a Diderot e al suo celebre Paradosso sull’attore che alla verve di un teatro che nasce commerciale e comico.
Nel complesso dunque il risultato è purtroppo modesto. Allo spettacolo manca un progetto drammaturgico coerente: i tagli sembrano solo volti a risolvere la penuria del cast e si concentrano tutti nella seconda parte, quasi che l’incombenza del debutto abbia costretto ad accelerare le prove e a concludere in fretta. La riduzione del cast è eccessiva. Una parodia funziona come sberleffo ad un contraltare serio, mancando praticamente quasi completamente l’Amleto cosa andiamo a parodiare? Alberto Rizzi si richiama al comico della commedia dell’arte nelle sue note di regia, commedia dell’arte che non si è vista. Nessun lazzo, nessuna comicità fisica, attori che entrano ed escono e recitano, anche abbastanza staticamente, le loro parti. Il ritmo è blando. Si ride poco e solo sul testo di Stoppard, che, ahimè, si raccomandava nell’introduzione di aver scritto una commedia.
Francesco Acquaroli porta bene la parola e ha una certa ironia ed eleganza nel porgere le battute, Francesco Pannofino è parso affaticato e non sempre a fuoco con la voce. I due come si suol dire “portano a casa la recita” con grande prudenza. Nel complesso l’interpretazione di entrambi risulta monocorde. Corretto Paolo Sassanelli. Si “sente” la tensione e l’insicurezza del debutto e l’impressione è che le prove non siano state sufficienti. Andrea Pannofino è scolastico e non convince. Chiara Mascalzoni ha invece una bella verve ed è stata l’unica che qui e là richiamava una recitazione degna della sbandierata commedia dell’arte.
Platea piena solo nella sua parte centrale con molti invitati, gradinate desolatamente vuote. Successo di cortesia nel finale.
Raffaello Malesci (Giovedì 3 Luglio 2025)