
Non basta il nome di Eva Robin’s alla nuova messa in scena delle Allegre Comari di Windsor a Verona.
Debuttano a Verona Le Allegre Comari di Windsor, unica messa in scena di un “titolo completo” proposta dal festival Shakespeariano, accanto a letture e adattamenti tratti o ispirati dal bardo. Di fronte a tale abbondanza nasce il dubbio se abbia ancora senso chiamarlo “Festival Shakespeariano”, dato che di commedie o tragedie del buon William ce ne sono ben poche.
Lo spettacolo è prodotto dal Teatro Stabile del Veneto con la regia di Andrea Chiodi e la drammaturgia di Angela Demattè. La produzione decide scopertamente di puntare sul nome “di cassetta” di Eva Robin’s, ampiamente pubblicizzato su tutti i cartelloni a lettere cubitali come vera attrattiva e novità dello spettacolo. Operazione curiosa in quanto alla Robin’s viene affidato il ruolo non proprio protagonistico di Miss Quickly, personaggio che, guarda caso, subisce una inusitata dilatazione, restando quasi sempre e inspiegabilmente in scena. Il divismo ha le sue regole e la Robin’s cerca di accattivarsi le simpatie del pubblico con una comicità asciutta e controllata, anche se molto spesso è più in posa in attesa degli eventi. Inutili e fuori contesto poi le frasi in dialetto bolognese inserite qui e là come stampella comica.
Intendiamoci non c’è nulla di male a tentare di inserire un “nome” per attirare un po’ di pubblico a teatro, inaccettabile è invece quando questo “nome” influisce sulla drammaturgia condizionandola al solo scopo di ampliare il più possibile la presenza in scena di un personaggio simpatico certo, ma che in scena, sempre secondo quel tale a cui è dedicato il festival, ci dovrebbe stare abbastanza poco. Per ironia della sorte alla recita a cui abbiamo assistito il pubblico al teatro Romano scarseggiava e, nonostante il “nome”, la platea era piena solo centralmente e le gradinate mezze vuote.
Altra riflessione interessante e doverosa sarebbe poi quella sull’opportunità che un teatro stabile nazionale come quello del Veneto, finanziato da denari pubblici, debba inseguire queste logiche da logoro teatro commerciale. O forse il punto è che in Italia il teatro commerciale non esiste più? Rischiamo di divagare.
Contestualizzata la presenza abbastanza ingombrante della signora Robin’s torniamo alla messa in scena che risulta sostanzialmente asciutta, quasi scarna. Il regista ambienta il tutto in una sorta di country club scozzese con grande profusione di uomini in kilt e di signore abbigliate in tailleur di tweed. Alcuni costumi degli uomini risultano veramente troppo simili fra loro per fare un buon servizio all’immediata identificazione dei personaggi. La scena è quasi sempre vuota. Una parete di quinte oblique decorate con tappezzeria tartan è il solo elemento scenico che si staglia da una quadratura nera. Su questa parete si apre un’infilata di porte che servono da ripetitivo disbrigo. L’inizio e il finale sono uguali, con tutti i personaggi immobili a sciorinare le proprie battute in modo inespressivo con in sottofondo una musica ossessiva.
A parte questo lo spettacolo si dipana in modo sostanzialmente classico, affidandosi agli attori in una messa in scena registicamente convenzionale. Il testo di Shakespeare è rispettato, anche se molto tagliato, e, ove si dimentica Miss Quickly seduta qua e là ad ascoltare, funziona al suo meglio proprio quando lo si lascia tale e quale deve essere: un capolavoro di comicità farsesca. Confuso l’adattamento della trama secondaria con una fugace apparizione del Dottor Caius, che poi scompare nel prosieguo della commedia, così come incongruente e troppo tagliata la parte di Pistola.
Si intuisce un tentativo di assimilare la storia personale dell’imposta protagonista (stiamo parlando di Miss Quickly) alla situazione di Sir John Falstaff, entrambi visti come outsider ed emarginati dalla società perché liberi e anticonvenzionali, tanto che alla Robin’s viene affidato un breve monologo di invenzione contro le cattiverie della società borghese. Operazione condivisibile e che poteva avere un certo interesse, Miss Quickly e Falstaff infatti si abbracciano solidali nel finale, ma che purtroppo non coglie nel segno se non marginalmente. Da una parte troppo poco trasgressiva la caratterizzazione della Robin’s, dall’altra troppo giovane il Falstaff di Davide Falbo, il cui personaggio rimane solo “fuori forma”, ma non acquisisce nulla del “vecchio porco lascivo” che potrebbe essere la vera cifra scandalosa e antisociale del vecchio Falstaff.
Se poi vogliamo approfondire la drammaturgia shakespeariana in realtà il personaggio dovrebbe suscitare ilarità più per la sua condizione di vecchietto arrapato e di millantatore impenitente, insomma la celebre “fiorente estate di San martino” se vogliamo dirla alla Boito, librettista della celeberrima versione verdiana delle Comari. Nel caso specifico perciò nulla vietava agli autori di modificare con maggior decisione il testo in funzione del messaggio, lo spettacolo ne avrebbe giovato in direzione e chiarezza.
Per quanto riguarda gli attori, spicca su tutti il Ford del bravo Angelo di Genio a dimostrazione che il mestiere a teatro conta ed è su quello che si dovrebbe puntare. Tecnicamente ineccepibile, Di Genio disegna un Ford classico ma efficacissimo nella maniacale gelosia, riuscendo a rendere accattivanti e coinvolgenti sia i lunghi monologhi che i frequenti a parte metateatrali richiesti dal regista. Preciso, vario negli accenti, pungente e coinvolto è Ford ad assurgere a protagonista di questa messa in scena. Una grande prova di maturità per lui.
Simpatiche e spigliate le Comari di Francesca Porrini (Madama Ford) e Sofia Pauly (Margaret Page), stralunata e popolaresca la prima, raffinata, snob e sopra le righe la seconda. Ottimo ritmo e affiatamento per loro. Meno a fuoco e purtroppo ampiamente fuori parte il Falstaff di Davide Falbo, che risulta volonteroso e appassionato ma spesso ripetitivo e monocorde in una parte decisamente più grande di lui.
Corretto e controllato il Page di Angelo Gamba; Ottavia Sanfilippo gioca la giovane Anna Page con alcune buone intuizioni tentando di costruire un personaggio originale, non ha tuttavia l’esperienza necessaria a far passare appieno la comicità; lo stesso dicasi per il Fenton di Nicola Ciaffoni, stravagante ma irrisolto. Pierdomenico Simone di impegna in più personaggi (Slender, Pistola, Caius) con esiti alterni.
Buon successo per tutti gli interpreti nel finale.
Raffaello Malesci (Venerdì 14 Luglio 2023)