Austera messa in scena del regista Antonio Latella
Dopo una nutrita tournée, arriva anche a Verona, nell’ambito della stagione di prosa del Teatro Nuovo, La Locandiera di Carlo Goldoni, con Sonia Bergamasco nei panni di Mirandolina. La messa in scena è curata dal regista Antonio Latella, con le scene di Annelisa Zaccheria e i costumi di Graziella Pepe, produzione Teatro Stabile dell’Umbria.
Antonio Latella sembra voler andare prima di tutto controcorrente e pare più che altro preoccupato di “non fare come gli altri” e di voler dare a tutti i costi una lettura alternativa e originale. Ne esce uno spettacolo con accenti tragici e stranianti, in cui Mirandolina sembra più in balia degli eventi che una fautrice del proprio destino, come è in realtà nel testo goldoniano.
L’ambientazione è fredda, in una casa costruita con pannelli di compensato marino con qualche decoro settecentesco tono su tono. A destra una cucina in acciaio, al centro un tavolo. Gli uomini giocano a mikado. Sembra a tratti una pubblicità di un noto mobilificio svedese.
Mirandolina inizia come un adolescente corrucciata, mangiando cereali in una discinta vestaglia bianca. Continua con accenti fra l’insicuro e il patologico, circondata da colleghi che sembrano usciti da un dramma di August Strindberg, ma a tratti anche da una pièce di Ionesco. Fin qui nulla di male, se non che questo andazzo non arriva da nessuna parte: lo spettacolo non sfocia in una catarsi, si dilunga inutilmente, il ritmo è blando, gli accenti ripetitivi.
Il lavoro sul testo, la dramaturg è Linda Dalisi, sembra confuso, per cui troviamo passaggi a tratti fin troppo integrali, con da una parte il mantenimento di parole assolutamente desuete come “lugagni” e “sbianchiranno”, e dall’altra tagli che alterano completamente il personaggio di Mirandolina.
Per cui il finto svenimento di Mirandolina diventa tragico e reale nel momento in cui si taglia la battuta “Ora poi è caduto affatto. Molte sono le nostre armi, colle quali si vincono gli uomini. Ma quando sono ostinati, il colpo di riserva sicurissimo è uno svenimento. Torna, torna.”. Oppure ancora tagliando il finale del secondo atto, che rivela il totale controllo del gioco amoroso da parte della protagonista: “L'impresa è fatta. Il di lui cuore è un fuoco, in fiamme, in cenere. Restami solo, per compiere la mia vittoria, che si renda pubblico il mio trionfo, a scorno degli uomini presuntuosi, e ad onore del nostro sesso. (Parte.)”.
Di questo passo la scelta del cameriere Fabrizio come marito nel finale, sembra il rifugio di una donna insicura e confusa, più che l’ennesima trovata che permette a Mirandolina di mantenere la propria indipendenza. Così il monologo che chiude lo spettacolo è triste, quasi incerto, in minore. È chiaro che Mirandolina diventa altro da quanto scrisse Goldoni, ma questo altro non sfocia in nulla di pregnante, né tantomeno in una lettura nuova o originale.
“Ricordatevi della Locandiera” dice Mirandolina. Non di questa però, che alla fine non porta da nessuna parte e spesso annoia.
Accanto a Sonia Bergamasco c’erano Marta Cortellazzo Wiel, Ludovico Fededegni, Giovanni Franzoni, Francesco Manetti, Gabriele Pestilli, Marta Pizzigallo, Valentino Villa.
Raffaello Malesci (Venerdì 20 Dicembre 2024)