Riuscita messa in scena per il capolavoro di William Shakespeare
Dopo il debutto a Roma dello scorso anno, giunge anche al Piccolo Teatro di Milano il Re Lear di William Shakespeare, diretto e interpretato da Gabriele Lavia. Lo spettacolo è prodotto dal Teatro di Roma e dal LAC di Lugano.
Gabriele Lavia sceglie di impostare una messa in scena classica e sostanzialmente fedele al dettato shakespeariano. Coadiuvato dalla scenografia evocativa di Alessandro Camera e dai costumi di Andrea Viotti, il regista ci propone una lettura metateatrale. La scena infatti rappresenta il retropalco di un vecchio teatro, con scenografie accatastate, bauli e polverose sedie distrutte. Tutti sono vestiti di nero e indossano, a seconda del personaggio, ricche o povere palandrane, dal gusto eminentemente materico. A sinistra c’è un piccolo teatro dei burattini, abbandonato in un angolo. Niente di originale certamente, ma la scena, pur essendo solo decoro, è ben fatta, così come i costumi. Alla fine il colpo d’occhio risulta rassicurante.
Il cast è quasi al completo e ben distribuito; il testo è tagliato qua e là, ma sostanzialmente integro nella sua essenza. La recitazione è misurata, indubbiamente ben calibrata. L’insieme è solido, appropriato, costruito per girare in modo semplice, nella migliore tradizione del “teatro all’antica italiana”, come avrebbe detto Sergio Tofano. Il ritmo del finale non accelera e lo spettacolo tende a trascinarsi, ma è un peccato veniale. La costruzione convince, ha il sapore della classicità, il respiro lungo della poesia, la nostalgia per un mondo passato. Una torta della nonna, quelle senza tempo, che, ritrovate per caso, si riassaporano volentieri e fanno bene all’anima.
Re Lear è la tragedia della vecchiaia in contrasto con la gioventù: una vecchiaia stolta e frettolosa che si staglia bizzosa contro una gioventù a tratti arrogante e malvagia. Ci sarebbe anche molto di comico nel Re Lear, non solo nelle tristi ballate del matto, ma anche nei vecchi bizzosi, incarnati da Lear e Gloucester, che spesso nelle loro ire senili ricordano i vecchietti della commedia nuova o della commedia latina. Questo lato raramente è colto. Si tiene sempre la parte dei vecchi, ma Shakespeare è più sottile: ci lascia un’amara riflessione: non c’è saggezza nella vecchiaia, ma solo nell’uomo equilibrato e questo a qualsiasi età.
Gabriele Lavia infatti ci regala un bell’esempio di saggezza attoriale e interpretativa. Completamente in parte come Lear, dall’alto dei suoi quasi 85 anni, cesella un Re fra il mesto e il riflessivo, attenua le parti di furore, gioca con la sua età, parteggia per Lear, lo migliora. Non è troppo fedele a Shakespeare, ma è fedele a sé stesso e convince su tutta la linea. Una grande lezione di teatro, ove il regista e l’attore giungono alla “seconda creazione”: il Re Lear di Gabriele Lavia. Ne risulta un personaggio intriso di nostalgia, che vive in un mondo scomparso: il vecchio e decadente retropalco di un teatro in disarmo. Una memoria fugace che non ritornerà, ma che ha la delicatezza degli anni e un sincero amore per quel mondo teatrale consegnato virtualmente agli attori che lo circondano, molti dei quali giovani e appassionati. Un’interpretazione sincera, personale, appassionata nel disincanto. Da vedere.
Intorno al maestro un cast febbrile e coerente, frutto di scelte attente e azzeccate.
Luca Lazzareschi giganteggia come Gloucester: il suo è un personaggio umano, dolente, appassionato senza enfasi, di severo e illuminante magistero nell’illuminare la parola shakespeariana. Mauro Mandolini è un Kent efficace, molto volto al carattere, più che a costruire l’alter ego saggio di Lear. Andrea Nicolini è un matto clownesco, attento alla parola e intriso di tristezza. Un clown rosso che ricorda nelle movenze claudicanti e nella dolcezza riflessiva degli sguardi un Pierrot senza tempo. Le sue battute non sono mai rimproveri, ma distillati di realismo. Una lettura non usuale la sua, efficace e calibrata.
Fra i giovani si distingue per bravura e accenti l’Edgar di Giuseppe Benevegna. L’attore unisce una fisicità coinvolgente ad un ottimo uso della parola. Ian Gualdani è un Edmund molto caratterizzato e mobile, decisamente coinvolto nel rappresentare un furore malvagio che risulta nell’insieme efficace. Silvia Siravo (Regan) e Federica di Martino (Goneril) interpretano le due sorelle con decisione e piglio malvagio. Delicata ed evanescente la Cordelia di Eleonora Bernazza.
Completano degnamente il numeroso cast Giovanni Arezzo, Beatrice Ceccherini, Andrea Nicolini, Giuseppe Pestillo, Alessandro Pizzuto, Gianluca Scaccia, Lorenzo Tomazzoni.
Applausi convinti nel finale.
Raffaello Malesci (Domenica 2 Novembre 2025)