Esito più che modesto per l’inaugurazione del festival Shakespeariano, ormai il vero “fantasma” delle estati veronesi
Non riesce a ritrovare la propria strada, la propria dimensione il Festival dedicato a Shakespeare all’interno dell’Estate Teatrale Veronese. La proposta di prosa langue e si assottiglia fra mancati finanziamenti, il più completo disinteresse politico e una direzione artistica che certamente non brilla.
Il cartellone è incentrato sulla musica, sulla danza, le serate di prosa sono ridotte al lumicino in uno spazio che ormai sembra impossibile riempire con il teatro. Sei serate di teatro fra luglio e agosto nella cavea del teatro Romano, contro le 24 di musica e danza, a cui a settembre si aggiungono alcune serate classiche importate da Siracusa. I numeri parlano da soli e non è certo il Shakespeare fringe, che si tiene in pieno agosto al chiuso del teatro Camploy, si spera ben condizionato, a spostare l’ago della bilancia.
Come fare a riempire o comunque ad evitare il vuoto completo nelle già neglette serate dedicate alla prosa? Si ricorre all’antica regola di unire un titolo famoso al nome del mattatore. Vecchio e rodato espediente: una volta funzionava sempre. Peccato che oggi a teatro i mattatori o sono scomparsi oppure sono ottuagenari.
Così assistiamo ad un Amleto in cui Franco Branciaroli, il mattatore di turno, sceglie di fare il fantasma del padre di Amleto per ovvi motivi anagrafici. La parte chiaramente viene espansa ad arte per dare il giusto risalto al “nome”. Perciò assistiamo a ripetute entrate del “fantasma” a cui vengono regalate varie battute di altri personaggi e anche il noto monologo di Amleto rivolto agli attori della compagnia.
Branciaroli resta magnetico, ma è svagato, quasi indifferente, non brilla per ritmo, precisione e chiarezza. Credo che nessuno se ne preoccupi, a differenza di quanto accade per il povero Joe Biden, che, a onor del vero, gode però di ben maggiore attenzione e soprattutto finanziamenti.
Del resto non è il caso di parlare. Già Luigi Lunari, un grande del nostro teatro, nel 2016 si domandava in un suo celebre scritto in memoria di Giorgio Strehler, se: “non fosse ragionevole nel mondo in cui viviamo accontentarci di un gradino più basso…”.
Da allora il teatro, almeno in Italia, di gradini ne ha scesi parecchi. Ma non c’è da disperare. Il Teatro Romano di Verona è lì dal I secolo dopo cristo, dedichiamolo alla musica e alla danza, non ostiniamoci proponendo spettacoli “forzati”: senza idee, mal finanziati, provati poco, fatti per fare, inutili.
Il Teatro vero, quello scritto sulla sabbia, troverà la sua strada altrove, cambierà, diventerà un’altra cosa, scoprirà altri luoghi, un altro pubblico.
L’Adige scorre impetuoso anche a luglio questa estate. Il fiume ne ha viste di cotte e di crude. Anche Verona. Il Teatro è lì, in agguato, non muore. Succederà qualcosa. Speriamo.
Raffaello Malesci (5 Luglio 2024)