Recensioni - Teatro

Bassano del Grappa: Un Grand Tour nel buio dell’animo umano, per Anagoor

Il mito di Faust si riflette nella nostra contemporaneità

Uno degli appuntamenti più attesi nel programma di Operaestate Festival 2020 è andato in scena al teatro “Tito Gobbi” di Bassano del Grappa venerdì 7 agosto. Sotto i riflettori una coproduzione a firma Anagoor che porta il titolo: Mephistopheles/eine Grand Tour. Il debutto lo scorso luglio, nel Cortile d'Onore di Palazzo Reale a Napoli, ha tenuto a battesimo questo film-concerto che è anche un atto di denuncia di quelli che parlano il linguaggio dell’arte e che affonda le radici nel Faust di Goethe e nel suo celebre diario di viaggio.
Si tratta di un’opera per immagini e musica - appare chiaro dall’annuncio e non dovrebbe servire precisarlo ulteriormente - ma non si scansano certe rigidità di vedute riguardo a ciò che è o non è teatro che l’Era del Covid non ha ancora scalfitto.

La compagnia, che festeggia quest’anno i suoi vent’anni e lo farà riguardando ai percorsi della sua storia fermati in momenti scelti utilizzando diversi supporti portatori di memoria (oltre al film un libro, due vinili, una retrospettiva), nel 2018 è stata premiata con il Leone d’Argento alla Biennale del teatro di Venezia. La motivazione parlava anche dell’impegno per “una funzione divulgativa rispetto a grandi tematiche”, e anche quest’ultimo lavoro ne è una conferma. La tematica è sì mefistotelica: indaga senza sconti l’animo umano e le sue tensioni al di là del bene del male e mette in luce l’imbarbarimento della specie umana che vive nell’Antropocene. A dirlo non sono parole, ma fatti che riguardano tutti noi e che non siamo desiderosi di considerare: azioni e gesti diabolici sgranati al rallentatore, a portata di sguardo, immortalati per anni dagli artisti di Anagoor in coerenza a un progetto che ha sempre avuto una visione politica chiara, priva di sbavature.

Il Grand Tour suddiviso per capitoli, tutti dedicati ad astri e pianeti, forse anche a indicare che “le stelle stanno a guardare”, o perlomeno lo fanno gli occhi dei droni, è stato ideato e diretto da Simone Derai in collaborazione con Marco Menegoni e musicato in un set sinfonico offerto dal vivo da Mauro Martinuz. Il materiale scelto, assemblato seguendo un filo da libro rosso, è stato tratto da alcuni precedenti progetti e realizzazioni portati in scena dal collettivo di casa nell’ex-conigliera di Castelfranco Veneto (tra questi il Faust di Charles Gounod che ha sancito un ingresso da tappeto rosso nel mondo della lirica) in aggiunta a riprese inedite, il tutto disegnando un largo raggio d’azione che va dalle campagne trevigiane ai paesaggi verticali campani per poi allontanarsi a guardare l’Occidente da Oriente. La musica e i suoni che accompagnano la proiezione — le riprese magnifiche sono a cura di Giulio Favotto — sono a tratti distorti e alti, ossessivi ed evocatori, a sottolineare la discesa nei vari gironi di questa orbita astrale.

Per primo appare il vecchio Goethe, che apre le pagine del suo libro maledetto seduto accanto al fuoco; subito dopo si entra in un ospizio qualunque dalle persiane appena alzate ad accogliere il giorno. Tra le stanze dove i ricordi sono appesi con lo scotch impera la sedazione, lì a rendere più piccolo il passo verso il sonno eterno. Nessuno spazio, nella nostra società dell’immagine, per la visione del decadimento dei corpi, della malattia e della morte: nell’Antropocene, i vecchi sono condannati al confino. Le immagini bellissime qui come altrove non generano un contrasto ma amplificano il dolore che raccontano, e lo nobilitano; nessun dubbio su dove stiano il sacrificio e il sacro. Un’altra tappa del Grand Tour immortala le ritualità della fede, il desiderio d’aldilà espresso in tanti modi nel mondo eppure in fondo sempre uguale; segue il martirio di opere d’arte, la bellezza violata o accatastata nei magazzini. L’uomo che appare non rispetta i suoi simili, né la natura, né gli animali: le riprese nei lager degli allevamenti intensivi, dei mattatoi, dei centri di fecondazione per bovini parlano di una crudeltà che è prassi quotidiana. Anche la riproduzione in questi luoghi è una pratica violenta, un magnifico toro bianco ne è vittima, e il pensiero corre a miti dell’antichità. La condanna a una vita breve e dolorosa per tante creature indifese è emessa senza possibilità nel nome del padre, dei figli e del buono spirito delle famiglie clienti delle hamburgherie.

Come da un finestrino, in un altro capitolo si guarda impotenti la campagna ferita e poi si esplora il cratere del Vesuvio, la sua bellezza imponente ingigantita dalla vocazione alla distruzione. In un campo erboso, e si avvicina il termine del film, lacrimano alcune piante, il polline a fiocchi si alza e viaggia sospeso nel vento: altra vita in viaggio, magari diversa, sembra un messaggio di speranza, sottolineato dalla musica in pace di Martinuz.

Questo Grand Tour allestito da Anagoor scandaglia anfratti bui dell’animo umano; così come è stato allestito è portatore di un messaggio molto attuale, forte, la disponibilità ad accogliere un invito disturbante alla consapevolezza, l’arte che parla per immagini e musica non la dà per scontata. Lo spettacolo dopo la tappa bassanese è atteso in tournée in Germania