Recensioni - Teatro

Bassano del Grappa: da Mario Perrotta Un bès per Ligabue

Il Teatro al Castello “Tito Gobbi”, di Bassano del Grappa, ha ospitato domenica 26 luglio lo spettacolo Un bès - Antonio Ligabue, appuntamento tra quelli di punta all’interno della rassegna di Operaestate Festival 2020.

Prodotto dal Teatro dell’Argine, scritto da Mario Perrotta in collaborazione con Paola Roscioli per la regia e Riccardo Paterlini per la ricerca, interpretato dallo stesso Perrotta, lo spettacolo fa parte di un progetto creato appositamente per celebrare l’uomo ferito e il grande artista intitolato “Progetto Ligabue”, concretizzato in una trilogia pluripremiata che ha preso il via dal 2013, Un bès insieme a “Svizzera e furore” e “Bassa Continua – Toni sul Po”, evento unico quest’ultimo realizzato nel territorio emiliano nel 2015.
Un monologo che inizia dalla platea, dove Perrotta-Ligabue si aggira con gli occhi febbrili mendicando un bacio, una piccola dose di felicità.
 
La scena sul palco è immersa nel nero, dove emergono tre alti pannelli/tela che si spostano nel corso della narrazione anche a ritmo di danza e dove Perrotta traccia con maestria, a carboncino, disegni che incarnano gli altri protagonisti della sua storia: una madre giovane e sola, che abbandona il piccolo Antonio senza un bacio dopo la nascita tra le montagne e i pascoli della Svizzera, tredici giorni prima dell’alba nuova del ‘900; una seconda madre, una "mutter" di nome Elisa, che lo crescerà senza baci ma con amore, adorata dal piccolo Antonio già in difficoltà per i suoi comportamenti “fuori norma”, presto internato in luoghi “più adatti”; i volti-maschera dei compaesani italiani, emiliani, che lo chiamano “al matt, al todesch”, gente che si troverà attorno rientrato in Italia riconosciuto dal padre e diventato Antonio Laccabue, sempre più estraneo e straniero. Italiano, Tedesco e dialetto si intrecciano a questo punto della storia di Toni, Perrotta ne attorciglia le sonorità e fa intuire la cifra di incomunicabilità che sempre più avviluppa ogni rapporto, ogni contatto umano. Ligabue è considerato lo scemo del villaggio, incapace com’è di esprimersi verbalmente e di agire convenzionalmente, ogni spiraglio di serenità si spegne presto, lasciando spazio a una notte popolata di spettri minacciosi.
 
Il monologo ha un andamento fluviale, ripetitivo, a restituire il disagio, la sofferenza e insieme l’ossessività dei pensieri che attraversano la mente di Ligabue. Sul Po, l’artista realizzò la maggior parte della sua produzione magnifica; isolato, braccato, ingabbiato in un’esistenza minata dal rifiuto e dalla frustrazione, seppe dar vita a dipinti che tornano in mente in tutta la loro bellezza, evocati dalle parole nello spettacolo, immagini forti non presenti in scena ma che riaffiorano in alcuni tratti degli schizzi amorevoli e altrove violenti di Perrotta — l’opera di Ligabue sarà conosciuta e apprezzata solo quando avrà sessant’anni, viene ricordato. Il bacio tardivo della comunità non arriverà a salvarlo.
 
L’accento della drammaturgia è posto sullo stare al margine, una condizione di disequilibrio disumana e dolorosa, ma che permette di stabilire il tracciato di vette e abissi del proprio crinale.
 
Mario Perrotta, a spettacolo concluso, ha ringraziato gli spettatori per la loro presenza, perché il teatro è un’altra cosa dal vivo, ed è molto mancato in questi mesi.
 
Caldi applausi, dal pubblico di Operaestate.