Recensioni - Teatro

Bologna: in Nottuari, Fabio Condemi porta in scena le opere nere di Thomas Ligotti

Sul palco, il bizzarro raccontato dallo scrittore statunitense nei suoi libri. Un diario della notte dedicato alla Medusa

Dal 9 al 14 aprile, l’Arena del Sole di Bologna ha ospitato lo spettacolo Nottuari, ispirato a opere di Thomas Ligotti. Una produzione imponente, firmata Emilia Romagna Teatro ERT/Teatro Nazionale, LAC Lugano Arte e Cultura, Teatro di Roma-Teatro Nazionale, Teatro Piemonte Europa, Teatro Metastasio di Prato, per il nuovo lavoro del regista Fabio Condemi, che ha scritto anche la drammaturgia.

Ligotti, scrittore del Michigan di origine italiana, è considerato tra i maggiori autori contemporanei di racconti e romanzi weird, new weird e horror, opere che si rifanno a certa letteratura gotica e del bizzarro, ma anche con echi provenienti dal mondo del cinema, della tv, della musica.

Dai racconti di Nottuario, ovvero “diario della notte” (Noctuary, raccolta del 1994 tradotta in Italia solo nel 2017), in particolare da La Medusa e da altri testi tratti da diverse raccolte, sono stati scelti gli spunti per la messa in scena.

La materia è quella del sogno, o meglio, dell’incubo e di brusche, orrorifiche veglie. Lontane le possibilità del cinema, a teatro si procede per frammenti zigzaganti, in parte narrativi e in parte descrittivi, con un andamento da scotoma scintillante.

Ad abbagliare è prima di tutto lo spazio scenico tutto bianco, evocatore di pareti di casa mendaci, che racchiudono in realtà un non-luogo. L’interessante scenografia creata da Fabio Cherstich è composta da un cubo retrattile di vetro finestrato, che di volta in volta rivela spazi umani (una camera da letto, un bar, un laboratorio); accanto c’è un angolo appartato, celato e rivelato da una tenda bianca, da dove emergono via via “quadri descrittivi” anomali, sanguinari, poi nudità, distorsioni perturbanti; un lungo corridoio nascosto da una porta con vetro smerigliato lascia solo intravvedere ombre, uscire rumori e grida, entrare e sparire personaggi inquietanti; infine nel proscenio si allarga uno schermo che a inizio spettacolo e in altre occasioni ha la funzione di collegamento diretto con lo spettatore — vi appaiono messaggi che chiamano in causa letteralmente le coscienze, a un certo punto spunta scritto anche un decalogo di matrice denatalista (e ci mancherebbe); in aggiunta, vi è la platea, che diventa spazio vivo nel momento in cui un personaggio, all’apice di un delirio pieno di violenza, si avvicina alle persone, e si sente sulla pelle di essere davvero disarmati di fronte all’irrompere della follia.

Ad amplificare i meccanismi di suggestione contribuiscono le musiche originali a cura di Paolo Spaccamonti e il disegno sonoro creato da Andrea Gianessi — tra gli altri, in alcuni momenti si avverte forte uno sgranocchiare come di mandibole d’insetto, ne viene in mente uno di nome Gregor Samsa.

L’azione parte in modo evocativo, utilizzando il linguaggio delle favole: una ragazzina Cappuccetto bussa e chiede “giochetto o scherzetto?”, oltre la porta trova un lupo. La bambina diventata donna (Giulia Luna Mazzarino) è poi osservata dormiente da una figura nera alla finestra, e una voce registrata le parla di sogni come vermi, che notte dopo notte ci portano via da noi stessi. La stessa giovane affiderà a un nastro che sa di psicanalisi i turbamenti della sua mente vacillante, riemergerà da una sorta di box soffocante col volto deformato dallo scotch, nei dintorni aria di 4:48.

Le luci in qualche passaggio sono state governate con effetti alla Twin Peaks e il buio, paradossalmente, a un certo punto manca: d’altra parte l’horror come l’hard-core esigono un’illuminazione impietosa.

Molta parte dello spettacolo è visione: il cubo-macchina scenica si ostina con avanzamenti e allontanamenti a presentare i quadri di orrori da vita quotidiana; una lavagna luminosa proietta immagini di opere d’arte che raffigurano la Medusa; nell’interstizio bianco a centro scena altri quadri “artistici” si compongono grazie a personaggi che lo popolano per qualche istante, assumendo forme distorte, pose disarticolate, rivelando inserti drammatici.

Ai personaggi interpretati da Julien Lambert e Francesco Pennacchia è stato affidato il ruolo più narrativo. Lambert, funereo, è una figura di collegamento tra i due mondi e voce narrante.

Pennacchia interpreta Lucian Dregler, studioso ossessionato dalla figura della Gorgone e dalle sue influenze sulla storia della visione. Con fare inizialmente pacato e cattedratico, Dregler espone il suo trattato “Meditazione sulla Medusa”, che racconta un legame atavico tra orrore e bellezza: Medusa, dal mito, è intesa come simbolo del potere mortifero dell’immagine. Scorrono sullo schermo sue raffigurazioni celebri a opera di Caravaggio, di Rubens, di Magritte, di Duchamp (che in Etant donnés, rappresenta una scena di morte osservabile attraverso due fori praticati in una porta, elemento che tornerà più volte nello spettacolo, anche declinato al maschile); Medusa arriva infine a “sanguinare” in spruzzi arteriosi sulla tela, con Pollock. Il docente, in un crescendo, viene invaso dal suo discorso e impazzisce — ha visto i vermi-serpenti annidarsi nelle città, nelle metropoli, nel mondo assurdo che conosciamo.

La visione e i suoi medium anche tecnologici sono parlanti nello spettacolo: in uno dei momenti più riusciti, in una carrellata di immagini riprodotta da un proiettore a bobine attorniato da filtri colorati si svolge un percorso di associazioni visive che ha sempre al centro la Medusa, la portatrice di bellezza e di orrore.

Di non facile attuazione questa operazione teatrale, ma gli interpreti si sono dimostrati all’altezza e le soluzioni drammaturgiche e sceniche adottate hanno ottenuto di evocare più un Grand-Guignol 2.0 che certo horror seriale — il rischio di impatto era dietro l’angolo. L’andamento cinematografico dei vari “quadri” e dei fermo immagine alla Hopper non ha prevalso sull’incarnazione delle vite-incubo raccontate da Ligotti, e qui da Condemi. Tutto molto pensato, certo tanto (forse troppo) da raccontare, assiepato dietro le immagini e le azioni sceniche.