Recensioni - Teatro

Bologna: in scena, l’ultimo ballo di Antonio e Cleopatra

Riuscita anche questa tappa, del lungo e appassionato percorso shakespeariano intrapreso nel tempo dall’attore e regista Valter Malosti

Il Teatro Arena del Sole, a Bologna, ha ospitato dal 17 al 21 gennaio Antonio e Cleopatra, da Shakespeare, spettacolo diretto e interpretato da Valter Malosti, che si è occupato anche della traduzione e dell’adattamento del testo del Bardo, con Nadia Fusini.

A vestire i panni dei protagonisti di questa tragedia, che esplora i gironi della passione e parla di un amore maturo e “sconfinato” (letteralmente), lo stesso Malosti (Marco Antonio), attore, regista e tra l’altro direttore di Emilia Romagna Teatro, e Anna Dalla Rosa, attrice che nel 2021 è arrivata in finale ai Premi Ubu proprio per la sua interpretazione da protagonista in Cleopatràs, di Giovanni Testori, sempre diretta da Malosti, e che di recente ha ricevuto il Premio Riccoboni per il suo lodevole e apprezzato percorso artistico.

Una produzione imponente per quest’opera teatrale, sostenuta oltre che da ERT dalla Fondazione Teatro di Napoli, dallo Stabile di Bolzano e quello di Torino, dal Teatro Nazionale Lac (Lugano Arte e Cultura). Sul palcoscenico, una delle tragedie tra le meno rappresentate in Italia di Shakespeare, un testo in cui sotto le vesti di una vicenda storica dai connotati complessi si insinua sinuosa una grande storia d’amore, e di morte.

Che sullo sfondo incomba la tragedia lo affermano sia l’allestimento voluto da Malosti, curato da Margherita Palli, che raffigura nell’ambientazione alte mura e un grande mausoleo di pietra; i momenti dove appaiono e scompaiono sarcofagi e monumenti funebri; il sottofondo musicale, forte, tenebroso, vibrante e cupo, ideato da Marco Angelilli, che ha curato anche il movimento scenico. Del resto, “Voglio della musica!”, griderà a un certo punto la Regina d’Egitto, donna incline a festeggiamenti alessandrini amata con ebbrezza da Antonio.

Se la summa dello Shakespeare in love è quella dei magnifici sonetti dedicati a un essere narciso e poi a una Dark Lady, dove si parla una lingua di cristallo, in Antonio e Cleopatra c’è l’assoluta bellezza di una storia votata alla perdizione, dove se anche è chiaro che si ha tutto da perdere (prestigio, potere, riconoscimento sociale, equilibrio mentale) a nessuna remora, a nessun freno inibitore si permette di ostacolare il ciak di scena dell’ultimo gran ballo, quello finalmente perfetto, la danza di tutte le danze. C’è qualcosa di ironico, forse “ai limiti del ridicolo”, eppure nel contempo di dannatamente eroico in questa storia.

Il lavoro di Malosti sceglie di mettere in risalto, in un dualismo che funziona, accanto alla parte nobile che sollecita la nostra ammirazione per i Grandi della Storia, redivivi nel racconto, anche la parte sfrenata, il senso di libertà assoluto di cui si fa manifesto la tragedia. Quest’ultimo aspetto è stato rappresentato con dei tocchi di comico e di grottesco che si notano in particolare nella parlata degli interpreti, negli atteggiamenti e perfino nei costumi dei due personaggi protagonisti: tra le altre cose, entrambi indossano parrucche grigie che fanno somigliare soprattutto lei a una Maria Antonietta che ha già perduto la testa — ma Antonio non è da meno; i dettami della loro liaison dangereuse sono tutti giocati tra entrate e uscite di scena, in coppia o da soli, seduti su troni imponenti che a tratti li espongono pietrificati, o in groppa a cavalli alati di quelli a metà tra la parata militare e metà da Luna Park (Cleopatra); in alcune scene indossano abiti votati agli eccessi, un po’ da gran varietà e un po’ sadomaso; a volte addirittura Antonio e Cleopatra si travestono l’uno dei panni dell’altro, mimando gli aspetti di fusione al calor bianco propri di due amanti (i costumi sono di Carlo Poggioli, molto belle anche le luci, di Cesare Accetta). Intorno, Cleopatra ha la sua corte, Cesare ha il suo impero, e i suoi generali. Noemi Grasso veste i panni della schiava fedele fino all’ultimo alla sua regina. Cesare Ottaviano, figlio di quel Cesare che amò la bella e alta regina prima di Antonio — le diede anche un figlio — è interpretato da Dario Battaglia, che ne esalta i tratti di irruenza giovanilistica. Accanto, sfilano militari e dignitari devoti o meno al potere di turno, tra questi un enigmatico e giocoforza ambiguo Enobarbo (Danilo Nigrelli); fa la sua comparsa una casta Ottavia in bianco, del tutto modernizzata nel corredo (Carla Vukmirovic); c’è poi un essere bello a metà tra l’angelo e l’eunuco, interpretato da Dario Guidi, che canta (bene) l’amore e poi finisce suicida, pur di non ammazzare Antonio, già colpito a morte.

Nel finale, Cleopatra-regina, da copione shakespeariano, rifiuta fiera con tutta se stessa l’umiliazione della sconfitta; la Cleopatra-donna vista da Malosti è un’attrice, una soubrette, una sciantosa che poco prima mostrava la gamba da uno spacco vertiginoso, e morirà davanti a uno specchio di quelli da camerino, con un colpo di pistola zittito dal buio. Negli occhi ha l’ultima immagine di un bell’Antonio, un ammiratore elegante che le offre un mazzo di rose.

Quasi due ore e mezza la durata dello spettacolo messo in scena da Malosti, senza intervallo, ed è riuscita anche questa tappa del suo lungo e appassionato percorso shakespeariano. Dai cinque atti della stesura originale sono stati estromessi alcuni elementi ed episodi, ma l’adattamento risulta comunque fedele, con i versi di Shakespeare che risuonano a teatro nella nuova traduzione in tutta la loro bellezza.

Molto apprezzata l’interpretazione di Anna Della Rosa, una Cleopatra con sfumature giustamente gipsy e ballerina, eppure del tutto regale.