Recensioni - Teatro

Brescia: 1984 fra totalitarismo e Grand Guignol

Cupa messa in scena per il capolavoro di Orwell

Prosegue la stagione teatrale 2019 – 2020 del Centro teatrale Bresciano con “1984” tratto dall’omonimo romanzo di George Orwell per la regia di Matthew Fenton. Lo spettacolo è prodotto da Emilia Romagna Teatro e dal Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia.

La produzione ha debuttato lo scorso anno e ora arriva Brescia quasi al termine della tournée. Il tutto inizia con una stralunata discussione rivolta al pubblico, in cui tre attori della compagnia fingono di discutere a ruota libera sull’influenza delle reti sociali, sul controllo dei media, sugli ultimi casi scottanti di cronaca – il movimento del me too – tentando in qualche modo di propugnare tesi controverse. Ne esce in realtà un poco convincente siparietto di non particolare originalità. Probabilmente l’intento del regista è quello di mettere l’accento sul subdolo totalitarismo dei giorni nostri, nascosto da lodevoli intenti e motivazioni “political correct”; tuttavia ne sortisce un effetto improbabile e di difficile decifrazione.

A seguire l’atmosfera cambia e si entra nel vivo dello spettacolo e del testo di Orwell. La parabola del protagonista del romanzo, Winston Smith, viene seguita con una certa linearità drammaturgica anche se non sempre con esiti chiari, l’introduzione del narratore non aiuta certo l’immedesimazione. Lo spettacolo viene organizzato intorno ad un piccolo decalogo incentrato sugli stereotipi del totalitarismo d’antan: luci scure e fredde, suoni taglienti e invasivi, costumi grigi e uniformi, scenografia scura, atmosfera opprimente, personaggi alienati, pile luminose che disturbano il pubblico. Nel finale si sfocia addirittura nel grand guignol con torture in scena, ampio uso di sangue finto e qualche effetto macabro. Il “grande fratello” è prevedibilmente la proiezione di un grande occhio che scruta e sorveglia tutto. Il regista segue un’unica direzione, reiterando più volte gli stessi effetti luce e sonori, e questo su uno spettacolo di due ore pesa non poco.

L’impostazione può anche essere corretta formalmente, ma risulta alla fine cerebrale e ripetitiva. Probabilmente oggi la dittatura e il totalitarismo non avrebbero più queste forme e si presenterebbero in modo completamente diverso, assai più subdolo e in maniera sicuramente meno scoperta. Gli attori, Antonietta Bello, Luca Carboni, Nicole Guerzoni, Stefano Agostino Moretti, Pio Stellaccio, Antonio Tintis e Giuliana Vigogna si destreggiano con bravura e professionalità anche se a volte risultano eccessivamente tecnici.

A fine serata applausi di cortesia.

R. Malesci (13/11/19)