Al Teatro Sociale un imperdibile nuovo allestimento di Ritter, Dene, Voss di Thomas Bernhard
“La famiglia è ariosa come una camera a gas”, recitava uno slogan di alcuni decenni fa, e la famiglia ricostruita da Thomas Bernhard in Ritter, Dene, Voss ha tutti i requisiti per avvalorarlo.
In questo testo si racconta di un pranzo tra i fratelli Worringer nella Vienna di inizi '900. Ludwig, personaggio ispirato al filosofo Ludwig Wittgenstein, torna a casa dopo un soggiorno in manicomio. La sorella maggiore che tanto si è adoperata per farlo dimettere, cerca di creare un contesto ideale per il fratello che, al contrario, non apprezza e vorrebbe rientrare subito in istituto. In questa dinamica si inserisce la sorella minore ad amplificare i contrasti ed i risentimenti reciproci che alimentano la conversazione.
Se in Huis clos Sartre sosteneva che “l’inferno sono gli altri”, Bernhard con divertita perfidia trasferisce questo assioma all’interno dell’ambito familiare. Più da una parte si cercano l’armonia e la conciliazione, anche se solo di facciata, più si risponde con crudeltà e violenza verbale. Ad emergere sono i rancori, i fallimenti personali, le incomprensioni che si sono stratificate nel corso di una vita, fino ad arrivare alle ipotesi di incesto. “L’unica cosa che mi lega alle mie sorelle è l’impossibilità di capirsi” dichiara ad un certo punto Ludwig.
Il dialogo è tagliente, acuminato, in questa riunione di “creature nate dalla penna di Henry James” come si autodefiniscono, accentuando ulteriormente la loro dimensione teatrale. Infatti in questo testo il gioco del teatro nel teatro viene spinto all’estremo: non solo le sorelle sono due attrici ormai in disarmo -la maggiore sta studiando per una comparsata di pochi minuti nel ruolo di una non vedente- ma lo stesso titolo è costituito dai cognomi dei primi tre interpreti che lo portarono in scena: Ilse Ritter, Kirsten Dene, Gert Voss.
Un testo complesso con più livelli di stratificazione che questa nuova produzione firmata da Elena Sbardella per il Centro Teatrale Bresciano coglie appieno. In un interno borghese decadente progettato da Carlo De Marino, illuminato dalle luci spettrali di Cesare Agoni, agiscono questi fantasmi, alternando vita e recitazione -i monologhi di Ludwig sono spesso rivolti al pubblico- accompagnati dai suoni che si materializzano nella loro mente e che si fondono con le evocative musiche di Gianluca Misiti.
Superlativa la prova d’attore di tre veri e propri fuoriclasse della recitazione. Ludovica Modugno è una Dene apparentemente fragile e dimessa, che per il suo tentativo di ricreare un ordine familiare spesso assurge a capro espiatorio. La follia di Ludwig/Voss è resa con perfida lucidità da Gianluca Ferrato mentre Franca Penone dà voce ai risentimenti di Richter. Uno spettacolo magnifico, di quelli che riconciliano con il teatro e che, nonostante le quasi due ore senza intervallo, vola in un soffio.