Recensioni - Teatro

Brescia: La strisciante ambiguità del male

Un grandissimo Paolo Pierobon ed un’intensa Ottavia Piccolo in Eichmann, dove inizia la notte

È un ambiguo burocrate carrierista l’Adolf Eichmann che emerge dallo spettacolo Eichmann, Dove inizia la notte di Stefano Massini, prodotto dai Teatri Stabili di Bolzano e del Veneto ed approdato al Teatro Sociale di Brescia all’interno della stagione del Centro Teatrale Bresciano.

Cresciuto a stretto contatto con famiglie ebraiche, al punto di avere imparato la lingua Yddish, Eichmann, non odia gli ebrei, anzi, nutre nei loro confronti un sentimento di indifferenza misto a simpatia, quella simpatia che, a suo dire, si è manifestata nel consentire a molti di loro l’espatrio dalla Germania Nazista. Lui, uno dei principali responsabili della Shoah, nel suo dialogo con Hannah Arendt si vede quasi come un filantropo, tra i principali artefici della nascita dello stato di Israele, grazie ai flussi migratori da lui promossi.
Eichmann si dipinge non come uno spietato antisemita, ma solo come un efficientissimo membro di un complesso apparato del quale vuole tentare la scalata.
Da Solingen, la città dei coltelli, a Vienna, città di periferia all’interno della geografia tedesca, lui punta a Berlino, per poter sfoggiare nel suo ufficio la sua fotografia con i più importanti gerarchi nazisti, infatti, nonostante l’importante ruolo rivestito, a differenza di altri suoi pari, può vantare solo quella con Himmler, trovatosi nella capitale austriaca quasi per caso. Il suo senso di rivalsa lo porterà quindi a riproporre il suo metodo di deportazione degli ebrei, efficacemente testato in Austria, in tutto il Reich, per dimostrare a quel è il suo valore e per ottenere quello che, a suo dire, è il giusto riconoscimento.
La questione morale non si pone, ed infatti alle ripetute sollecitazioni da parte della Arendt le risposte sono sempre distaccate, concentrate più  sulla professionalità del suo lavoro svolto all’interno di un sistema che procedeva in una sola direzione e che pretendeva quello.

Una figura che lascia sgomenti ma che non può non far riflettere, portata in scena con grande efficacia da uno straordinario Paolo Pierobon, che ne rivela l’ambiguità e la lucida follia. Al suo fianco Ottavia Piccolo è una Hannah Arendt che cerca di capire e di trovare una motivazione a quella crudeltà che dall’altra parte viene liquidata come semplice burocrazia.
La regia di Mauro Avogadro è discreta e puntuale e valorizza gli attori in un testo più di parola che d’azione, scandito da stacchi musicali che creano efficaci momenti di sospensione, pur dando a volte l’impressione di spezzare troppo il ritmo e la tensione.

Successo incondizionato da parte di un Teatro Sociale esaurito in ogni ordine di posti.