Recensioni - Teatro

Brescia: La vita è nelle imperfezioni

Il delirio del particolare di Vitaliano Trevisan al Teatro Sociale

È un’atmosfera plumbea, opprimente, quella che accoglie lo spettatore all’inizio de Il delirio del particolare di Vitaliano Trevisan prodotto dal Centro Teatrale Bresciano che, con la regia di Giorgio Sangati, ha debuttato al Teatro Sociale di Brescia.
Un’anziana vedova torna dopo anni nella casa con cimitero annesso che il marito aveva fatto progettare ad un famoso architetto e questa visita le fa tornare alla mente i ricordi di una vita: l’industria di elettrodomestici, il passato da attrice e, soprattutto l’ambiguo triangolo artistico-affettivo che si era venuto a creare tra lei, il marito e l’architetto.

La drammaturgia ricorda i testi di Thomas Bernhard, in cui ad una grande figura monologante si affiancano alcuni personaggi, in questo caso il maggiordomo-badante Cecchi e lo storico d’arte Professor Bernardi (omaggio a Schnitzler?) che occasionalmente spezzano il lungo flusso di parole.
Al centro di tutto vi è la casa-museo -anche se per l’atmosfera che si respira verrebbe da definire mausoleo- che l’architetto aveva progettato in ogni minimo particolare, poiché tutto doveva corrispondere alla sua concezione, ma all’interno della quale lei volle fin da subito inserire un elemento di rottura: la sgargiante Poltrona Proust che stacca nettamente dal grigio del metallo e calcestruzzo che caratterizzano tutta la struttura circostante, ricreata dallo scenografo Alberto Nonnato. Ed è il rapporto tra perfezione ed imperfezione a costituire il filo rosso del lungo racconto: la perfezione maniacale dell’architetto (il testo non lo dice esplicitamente ma si tratta di Carlo Scarpa) che gli costò la vita a causa della caduta da una scala su cui si era arrampicato per osservare appunto un “particolare”, e l’imperfezione che con il trascorrere del tempo si sta impossessando della casa: umidità, muffe, incuria, che la rendono più viva, meno algida, poiché non è possibile cristallizzare per sempre un’idea. Anzi, è proprio l’imperfezione, ovvero la pioggia che filtra attraverso il tetto e che anima quella colorata e musicale partitura di vasi disposti nei vari punti della casa, che nel finale regala un soffio di vitalità spezzando il grigiore ed il senso di oppressione che avevano fino a lì dominato.

Maria Paiato domina la scena nell’impersonare quella che nella realtà fu Onorina Tomasin-Brion, la vedova di Giuseppe Brion che commissionò negli anni ‘70 a Scarpa il complesso funebre di Altivole. Al suo fianco gli ottimi Alessandro Mor nel difficile ruolo del badante “che non deve far percepire la sua presenza” pur essendo onnipresente e Carlo Valli nel ruolo di Bernardi.
Al termine applausi calorosi da parte dii un Teatro Sociale fortunatamente per l’ultima volta ad ingresso contingentato.