Recensioni - Teatro

Brescia: Quando padri e figli non parlano la stessa lingua

Agnello di Dio di Daniele Mencarelli in prima nazionale al Teatro Sant’Afra

Si basa sul più classico dei conflitti generazionali Agnello di Dio, il nuovo testo teatrale di Daniele Mencarelli che, nella produzione del Centro Teatrale Bresciano firmata da Piero Maccarinelli nella triplice veste di regista, scenografo e costumista, ha debuttato al Teatro Sant’Afra di Brescia.

Samuele, figlio di Marco, rampante amministratore di un’importante multinazionale, da un po’ di tempo manifesta dei comportamenti strani a scuola, sfociati in un tema nel quale rinnega con violenza tutto il suo percorso formativo. Per questo motivo entrambi sono stati convocati nell’ufficio della preside, Suor Lucia -si tratta infatti di un esclusivissimo liceo privato cattolico- che si scopre essere stata in gioventù compagna di classe di Marco nella medesima scuola.
Avuta risposta negativa alle classiche domande di rito: “Sei gay? Ti droghi?” scopriamo che in realtà il malessere del ragazzo nasce dalla mancata condivisione dei valori fondamentali del padre e degli adulti in generale, per i quali la felicità si identifica con carriera, benessere economico e rispetto ferreo dello schema finalizzato al raggiungimento di quegli obbiettivi, all’interno di una società in cui tutto appare preordinato. Samuele, al contrario, sente che la gabbia dorata costruitagli intorno dal padre per farlo diventare come lui un giovane di successo, lo soffoca. Vorrebbe poter tentare strade alternative, magari sbagliare o, molto più semplicemente, avere la possibilità di interrogarsi su quale sia la sua vera vocazione.

Ovviamente il padre non capisce queste esigenze: reagisce con durezza, accusa il figlio di essere un ingrato viziato e cerca di forzarlo a rientrare nel ruolo che gli è stato assegnato, sia perché nella sua mentalità non riesce a concepire null’altro che non siano successo e benessere, sia perché, da buoni borghesi, se così non fosse, “Cosa dirà la gente?”
Il tutto si dipana attraverso una serie di conflitti generazionali e questioni teologiche (anche suor Lucia interviene in nome di un ordine morale e sociale) che contrappongono al tentativo di ribellione un profondo rigore. Rigore che però si manifesta anche nella scrittura che nella prima parte suona un po’ schematica e, pur affrontando con coraggio l’argomento, sembra rimanere nell’ambito della disputa dialettica.

Il punto di svolta dello spettacolo coincide con il crollo emotivo di Suor Lucia, interpretata dalla bravissima Viola Graziosi, punta di diamante di un valido cast che, a partire dal suo monologo in cui ricorda l’adolescenza a scuola, segna una cesura netta, aprendo uno squarcio di verità. In questa seconda parte in cui emergono antichi rancori e desideri di rivalsa della preside, il testo prende finalmente il volo, merito anche dell’interpretazione maiuscola della protagonista, e scatta il coinvolgimento con il pubblico per un dramma che, sulla carta sembrerebbe un corollario della vicenda principale ma che, al contrario, emotivamente prende il sopravvento. A quel punto, usciti di scena Marco e Samuele, rispettivamente un Fausto Cabra incisivo nel suo rigore ed un Alessandro Bandini dalla ricca tavolozza espressiva, il tutto sembra ricomporsi grazie alla bonarietà della segretaria Suor Cristiana, che Ola Cavagna ha impreziosito donandole un’aura di stralunata poesia.
Uno spettacolo curato e ben recitato che, nonostante un inizio a tratti interlocutorio, ha conquistato un teatro esaurito che ha risposto con applausi calorosi.