Recensioni - Teatro

Brescia, Teatro sociale, va in scena il nuovo testo di Simone Cristicchi

Franciscus, il folle che parlava agli uccelli, scritto da Simone Cristicchi e Simona Orlando, scenografie di Giacomo Andrico e luci di Cesare Agoni. Musiche e arrangiamenti di Amara e Tony Canto.

Teatro sociale gremito, pubblico delle grandi occasioni. Ore 20.30 si spengono le luci.

Foschia, profumo di vaniglia.

All'orizzonte una silhouette si staglia nella luce e inizia a raccontare una storia, la sua storia, le memorie di un uomo che ha vissuto al tempo di San Francesco. L’uomo, anziano, incappucciato, si sorregge su un bastone, ci appare davanti ad una scenografia fissa e allo stesso tempo multiforme. A volte vediamo un tempio in rovina, a volte l’abbraccio dei molteplici rami di una natura che ci accoglie sotto la sua protezione, altre volte, invece, un tipico scorcio di Assisi, attraversata dalle sue caratteristiche scalinate.

Queste essenziali variazioni accompagnano lo spettatore non per mezzo di una scenografia senza orpelli e posizionata su piani di scorrimento, ma anche e soprattutto tramite l’escamotage di un alter ego del protagonista Cristicchi, che mettendo in mostra la sua caratteristica chioma o celandola, passa dall’interpretare il sé stesso narratore, al suo secondo ruolo di Cencio.

Cencio è la voce del popolo, della moltitudine, dell’attimo; colui che non si sofferma a pensare, che si lascia trasportare da un’opinione superficiale generale piuttosto che da una propria interiorizzazione e successiva reazione. Cencio è l’uomo che vede il mutamento intorno a sé stesso, ma riesce a percepirlo solo per riflesso, solo quando diventa l’anziano incappucciato che si sorregge sul suo bastone e finisce con il credere, ma solo perché l’ha sperimentato sulla pelle.

Lo spettacolo è molto ben costruito, Cristicchi assume sempre di più le sembianze d’un mattatore di altri tempi: recita, canta e accenna qualche numero di giocoleria. Strizza l’occhio al pubblico e ne conquista il favore con grande maestria. Il testo risulta accattivante non solo per le già note capacità poetiche e per un’approfondita indagine storica (che comunque non aggiunge niente a quanto già noto su Francesco D’Assisi), ma soprattutto per l’intreccio drammaturgico ricco di malizie degne di un vecchio mestierante del teatro.

Cristicchi è soprattutto un istrione capace di affabulare e incantare il pubblico per oltre un’ora e mezza, guidandolo con precisione all’ascolto delle sue riflessioni. L’attore ne viene ripagato con un lunghissimo applauso. Cristicchi in qualità di artista e quindi di curioso ricercatore, si interroga sull’essenza che si cela dietro l’uomo straordinario di cui si parla da ottocento anni.

Simone (perché Cristicchi mette in scena sé stesso in contrapposizione a Cencio) legge e rilegge, si informa, vuole approfondire, si immerge nelle infinite biografie che circondano uno degli uomini più noti della storia, per trovarne la sua interpretazione. Per capire se c’è un messaggio per il presente in quel passato, un’attualità che possa essere d’aiuto per una lettura della contemporaneità. Nel suo spettacolo la risposta è sì.

Oggi come allora viviamo di problemi generazionali causati da un’abbondanza che non ci permette di percepire la fortuna stessa del poter avere. Siamo incapaci di renderci conto che non si raggiunge la ricchezza perché ci si circonda di accumulanti possedimenti, ma perché nell’eliminazione del superfluo si riesce ad arrivare alla corretta interpretazione del valore e delle cose. L’Homo Sapiens era ed è l’artefice della sua grandezza ma allo stesso tempo motivo della sua rovina.

Per Francesco la Natura è la manifestazione del divino. Secondo Cristicchi recuperare parte di questo pensiero può aiutare l’umanità a ricollocarsi in una posizione di rispettoso equilibrio nei confronti di questa, convivendoci senza sovrastarla, per evitare un auto estinzione della nostra specie.

Francesco vede la società su scala orizzontale, paritaria. Cristicchi sogna un mondo che non si faccia la guerra per bramosia di possesso, che riesca come Francesco a non instillare un sentimento di vergogna ma di gioia, anelando sempre al bene e al buono dell’umanità.

Simone Cristicchi è l’artista, che insieme a molti altri oggi cerca di sfruttare la sua notorietà per essere portavoce di problematiche che tutti vedono, di cui molti parlano tra le quattro sedie di un bar, ma che troppo pochi sentono. E sia mai che questa volta, da quella che sostanzialmente non è che una serie di tematiche già sentite, nasca qualche goccia in più, che abbia un mare dentro e che non si faccia trasportare dalla corrente, perché come si diceva nei tempi andati, alla fine, repetita iuvant.