Recensioni - Teatro

Bruxelles: Ritratto di tre eroine della Storia Iraniana

Les Forteresses di Gurshad Shaheman al teatro Les Tanneurs

La genesi dello spettacolo

Les Forteresses fa eco al primo spettacolo dell'autore, regista e performer franco-iraniano Pourama Pourama, nel quale sua madre e le sue due zie sono dei personaggi secondari della storia. Questa volta, è Gurshad ad essere il personaggio secondario nella storia delle donne della sua famiglia. Durante l'estate del 2018, le tre donne si incontrano per la prima volta in 11 anni ad Avignone, per lo spettacolo Può sempre dire che è per amore del profeta. Julie Kretzschmar, la produttrice dell'autore, ha l'idea di uno spettacolo sulle loro vite. Questa idea germoglia lentamente nella testa di Gurshad, che raccoglie le storie di ciò che gli raccontano nelle interviste e organizza i loro monologhi in tre parti.

Il suo obiettivo è far rivivere allo spettatore le sensazioni che i protagonisti hanno provato durante i grandi eventi della loro vita.  Gurshad isola dal racconto di ciascuna un evento che diventa rappresentativo di un elemento importante della Storia: la ribellione studentesca contro lo Scià d'Iran, la rivoluzione islamista nel 1979, la guerra Iran-Iraq, il carcere e le grandi esecuzioni dei anni '80, l’esilio in Europa e i campi profughi.

Un invito a casa

Quando entriamo nella sala, veniamo accolti calorosamente da Gurshad Shaheman, sua madre e le sue zie che si prendono cura di noi, servendoci tè e dolci.

Una scenografia di Mathieu Lorry-Dupuy, che ha ricreato l'arredamento dei ristoranti del nord di Teheran, con tappeti persiani, divani su cui gli spettatori possono sdraiarsi. L'idea è quella di un invito nella casa della famiglia Shaheman, dove una parte degli spettatori è seduta con loro e vive lo spettacolo dall'interno. Jeyran, Shady e Hominaz sono fisicamente presenti per non essere privati ​​della loro parola. La parola in francese è pronunciata da tre attrici presenti anche loro: Mina Kavani, Shady Nafar, Guilda Chahverdi. I tre interpreti si rivolgono nal figlio ma anche alle eroine - Jeyran, Shady e Hominaz. Anche Gurshad è presente sul palco, ricreando scene mute con sua madre e le zie. Canterà canzoni tradizionali azere in tre occasioni che scandiscono magnificamente la fine delle tre parti dello spettacolo.

"Le mie tre madri"

Sono nati negli anni '60 a Mianeh, nel cuore dell'Azerbaigian iraniano, in una famiglia progressista. Hanno attraversato una rivoluzione, una guerra, l'esilio. Tra Europa e Iran, raccontano e ripercorrono eventi del loro passato. Interpretano personaggi delle loro vite, a volte sono loro stesse, a volte sono un'altra donna nella storia di qualcun altro.

Mentre un'attrice parla, Jeyran prepara l'insalata, Gurshad e sua madre mangiano insieme. La zia entra e porta il piatto principale, mangiano insieme, poi se ne va. La terza porta il dessert e la scena si termina. Con dolcezza e gentilezza, Gurshad les ascolta. Ha dei gesti di conforto verso le sue tre "madri", e questo amore tra le sorelle e il figlio è palpabile durante lo spettacolo.

La vita a portata di mano

Jeyran, Shady e Hominaz sono "al centro della storia in movimento". Ricreanno la Storia nei caffè sul lungomare nel nord di Teheran. Attraverso le loro storie sentiamo che sono animate da una grande energia e un’orgoglio, si sentono capaci di tutto, sono a pochi passi dalla democrazia, il futuro è loro.

La ribellione, il desiderio di democrazia - immagini forti, in particolare quella di Jeyran che stira sul palco, mentre la suo interprete racconta il ricordo della scoperta di una cella nella prigione politica dello Scià, dove l'odore di carne carbonizzata emana ancora da un ferro da stiro, testimoniando le torture inflitte ai prigionieri. Poi, all'improvviso, viene il momento della disillusione e della presa di coscienza, una spessa nuvola nera copre il fiorente futuro delle tre sorelle mentre gli islamisti danno fuoco e spargimento di sangue alla loro piccola città. È la fine del loro sogno e l'inizio di una nuova era tirannica.

"Il mio cuore è una fortezza di lacrime, non posso aprirlo"

Abbiamo le lacrime agli occhi quando ascoltiamo la commovente testimonianza di queste donne costrette a murarsi in silenzio, a velarsi per evitare la lapidazione, loro che sono "leonesse" come diceva il loro padre. Lui che odiava i chador neri e incoraggiava le sue figlie a non "nascondersi sotto metri di stoffa". La Storia fa improvvisamente un passo indietro per i diritti delle donne, e il cambiamento di mentalità si riflette nella cerchia familiare dove gli uomini - mariti e fratelli - un tempo così gentili e di mentalità aperta, si trasformano in tiranni violenti e sprezzanti. Gurshad Shaheman libera le voci delle donne della sua famiglia che, per la prima volta dopo anni, possono finalmente parlare senza timore delle conseguenze.

I monologhi risuonano con la composizione di Lucien Gaudion, tra musica elettroacustica, canzoni popolari persiani, Elvis e canzoni francesi degli anni sessanta. Riesce brillantemente a ricreare l'atmosfera della guerra, dove lo spettatore si sente rinchiuso in uno scantinato con i protagonisti, in attesa della fine dei bombardamenti.

"A scegliere la mia prigione preferisco stare con la mia famiglia"

È stata la scelta di Hominaz, la zia che ha preferito restare in Iran, rifiutandosi di lasciare marito e figli per il difficile percorso del richiedente asilo. Quest'Europa così inaccessibile eppure così vicina, questa fortezza dalle mura invisibili. Shady, invece, ha attraversato l'inferno dei campi profughi in Germania, e dopo 25 anni è orgogliosa di aver resistito anche se non si sentirà mai pienamente integrata. Per lei non ha importanza.

Epilogo

Jeyran, Shady e Hominaz si uniscono ai loro interpreti e per la prima volta, si rivolgono a voce alta a Gurshad. Si esprimono in persiano. Jeyrad ci accoglie a braccia aperte alla fine dello spettacolo, è molto commossa. Oggi è un giorno speciale perché è appena diventata nonna per la prima volta. Ci ringrazia per la nostra presenza e per averle ascoltate. Vogliamo prenderle tra le nostre braccia. Il loro messaggio è questo: non importa quali siano le esperienze della vita, buone o cattive, abbiamo sempre una scelta, e questo è ciò che ci salva. La scelta di fuggire dalla dittatura e dalla guerra, la scelta di crescere i figli in un ambiente laico, la scelta di dire no, la scelta di essere liberi.

Una testimonianza potente che risveglia le coscienze e ci afferra dall'inizio alla fine. Mancano le parole per descrivere i miei sentimenti dopo queste tre ore di spettacolo; posso solo dirti che ho avuto difficoltà ad addormentarmi.

Portrait de trois héroïnes de l’Histoire Iranienne. Les Forteresses de Gurshad Shaheman aux Tanneurs. 

La genèse du spectacle

Les Forteresses est en parfait écho avec le premier spectacle de l’auteur, metteur en scène et performeur franco-iranien, Pourama Pourama, où sa mère et ses deux tantes sont des personnages secondaires de l’histoire. Cette fois, c’est Gurshad qui est le personnage secondaire dans l’histoire des femmes de sa famille.

Durant l’été 2018, les trois femmes se réunissent pour la première fois depuis 11 ans à Avignon, à l’occasion du spectacle Il pourra toujours dit que c’est pour l’amour du prophète. Julie Kretzschmar, la productrice de l’auteur, a l’idée d’un spectacle sur leurs vies. Cette idée germe lentement dans la tête de Gurshad, qui récolte au cours d’interviews les récits de ce qu’elles lui confient et organise leurs monologues en trois parties.

Son objectif est de faire revivre au spectateur les sensations que les protagonistes ont éprouvées durant des évènements majeurs de leurs vies. Gurshad isole dans le récit de chacune un évènement qui devient représentatif d’un élément majeur de l’Histoire : la rébellion étudiante contre le Shah d’Iran, la révolution islamiste en 1979, la guerre Iran-Iraq, la prison et les grandes exécutions des années 80, l’exil en Europe et les camps de réfugiés.

Une invitation à la maison

Lorsque l’on pénètre dans la salle, nous sommes chaleureusement accueillis par Gurshad Shaheman, sa mère et ses tantes qui prennent soin de nous en nous servant du thé et des gâteaux.

Une scénographie de Mathieu Lorry-Dupuy, qui a su recréer le décor des restaurants du nord de Téhéran, avec des tapis persans, des canapés  sur lesquels les spectateurs peuvent s’allonger. L’idée est c’elle d’une invitation chez la famille Shaheman, où une partie des spectateurs est avec eux et voi le spectacle de l’intérieur.

Jeyran, Shady et Hominaz sont physiquement présentes pour ne pas être dépossédées de leur parole. La parole en français est dite par trois comédiennes qui sont elles aussi présentes : Mina Kavani, Shady Nafar, Guilda Chahverdi. Les trois interprètes s’adressent au fils mais aussi aux héroïnes - Jeyran, Shady et Hominaz.

Gurshad est lui aussi présent sur scène, rejouant des scènes muettes avec sa mère et ses tantes. Il chantera à trois reprises des chansons traditionnelles azéri qui ponctuent magnifiquement la fin des trois parties du spectacle.

« Mes trois mamans »

Elles sont nées dans les années 1960 à Mianeh, au cœur de l’Azerbaïdjan iranien, dans une famille progressiste. Elles ont traversé une révolution, une guerre, l’exil. Entre Europe et Iran, elles racontent et rejouent des événements de leur passé. Elles retraversent des personnages de leurs vie, parfois elles sont elles-mêmes, parfois elles sont une autre femme dans le récit de quelqu’un d’autre.

Tandis qu’une comédienne prend la parole, Jeyran prépare la salade, Gurshad et sa mère mangent ensemble. Sa tante entre en emmenant le plat principal, ils mangent ensemble, elle sort. La troisième emmène le dessert et le repas s’achève.

Avec douceur et gentillesse, Gurshad les écoute attentivement. Il a des gestes réconfortants envers ses trois « mamans », et cet amour entre les sœurs et le fils est palpable durant tout le spectacle.

La vie à portée de main

Jeyran, Shady et Hominaz sont « au cœur de l’histoire en marche ». Elles refont le monde dans les cafés au bord de l’eau dans le nord de Téhéran. A travers leur récits, on les sent animées d‘une grande énergie et fierté, elles se sentent capables de tout, elles sont très proches de la démocratie, l’avenir leur appartient.

La rébellion, le désir d’une démocratie - des images fortes, notamment celle de Jeyran en train de repasser sur scène, pendant que son interprète raconte le souvenir de la découverte d’une cellule de la prison politique du Shah, où l’odeur de la chair carbonisée émane encore d’un fer à repasser, témoignant de la torture infligée aux prisonniers.

Puis, brutalement, vient le temps de la désillusion et de la prise de conscience, un épais nuage noir couvre l’avenir florissant des trois sœurs alors que les islamistes mettent à feu et à sang leur petite ville. C’est la fin de leur rêve et le début d’une nouvelle ère tyrannique.

« Mon cœur est une forteresse de larmes, je peux pas l’ouvrir »

On a les larmes aux yeux lorsqu’on entend leur témoignage bouleversant de ces femmes contraintes de se murer dans le silence, de se voiler pour éviter les lapidations, elles qui sont des « lionnes » comme le disait leur père. Lui qui détestait les tchadors noirs et encourageait ses filles à ne pas se « terrer sous des métrages de tissus ». L’Histoire fait soudain marche arrière pour le droit des femmes, et le changement des mentalités se reflète dans le cercle familial où les hommes - maris et frères - si gentlemen et ouverts d’esprit autrefois, se transforment en tyrans violents et méprisants.

Gurshad Shaheman libère la parole des femmes de sa famille qui, pour la première fois depuis des années, parviennent enfin à s’exprimer sans peur des conséquences.

Les monologues résonnent avec la composition de Lucien Gaudion, entre musique électroacoustique, chansons populaires persanes, Elvis et musique françaises des années 60. Il réussit brillamment à recréer l’atmosphère de la guerre, où le spectateur se sent enfermé dans un sous-sol avec les protagonistes, attendant la fin des bombardements.

« A choisir ma prison je préfère rester aves les miens »

C’est le choix d’Hominaz, la tante qui a préféré  rester en Iran, refusant de quitter mari et enfants pour se lancer dans le parcours difficile de demandeur d’asile. Cette Europe si inaccessible et pourtant si proche, cette forteresse aux murs invisibles. Shady, elle, a connu l’enfer des camps de réfugiés en Allemagne, et après 25 ans, elle est fière d’avoir résisté même si elle ne se sentira jamais complétement intégrée. Pour elle, cela n’a aucune importance.

Epilogue

Jeyran, Shady et Hominaz rejoignent leurs interprètes et s’adressent pour la première fois à Gurshad. C’est en persan qu’elles s’expriment. Jeyrad nous accueille les bras ouverts à la fin de la représentation, elle est très émue. Aujourd’hui est un jour particulier puisqu’elle vient de devenir grand-mère pour la première fois. Elle nous remercie d’être là et de les avoir écoutées. Nous avons envie de les prendre dans nos bras.

Leur message est le suivant : quelles que soit les expériences, bonnes ou mauvaises, de la vie, on a toujours le choix, et c’est cela qui nous sauve. Le choix de fuir une dictature et la guerre, le choix d’élever ses enfants dans un milieu laïc, le choix de dire non, le choix de d’être libre. 

Un témoignage puissant qui réveille les consciences et nous happe du début la fin. Les mots me manquent pour décrire mon ressenti après ces trois heures de spectacle ; je peux seulement vous dire que j’ai eu du mal à m’endormir.