Recensioni - Teatro

Carrellata di monologhi per Gilgamesh

Versione più epica che teatrale dell’epopea babilonese

Giunge al Teatro Sociale di Brescia Gilgamesh – L’epopea di colui che tutto vide – poema sumero babilonese risalente probabilmente al dodicesimo secolo avanti Cristo e adattato per le scene da Giovanni Calcagno. Lo spettacolo è prodotto da Emilia Romagna Teatro.

Calcagno crea uno spettacolo sobrio e suggestivo, inquadrando la scena in uno spazio aperto, che richiama il deserto. Si avvale delle belle immagini ideate da Alessandra Pescetta, che suggeriscono l’inesorabile logorio del tempo, storicizzando opportunamente gli avvenimenti narrati.

Gilgamesh è il giovane Re di Uruk, che dopo numerose avventure, perde il suo migliore amico Enkidu. Sconvolto intraprende un viaggio ai confini del mondo per scoprire il mistero della vita e della morte. Il tutto si svolge in un periodo antecedente il diluvio universale, che viene narrato all’inizio e alla fine dello spettacolo con dovizia di particolari.

Tre sono gli attori in scena, lo stesso Calcagno, Vincenzo Pirrotta e Luigi Lo Cascio, che si alternano in lunghi monologhi, per lo più statici, senza mai veramente interagire fra loro, se non in alcuni fugaci momenti.

Da una parte perciò abbiamo l’indubbia suggestione delle voci e del racconto. Luigi Lo Cascio interpreta la parte leggendo, come suo costume anche negli ultimi lavori su Dostoevskij e Stoker, con grande musicalità e intensità vocale. Vincenzo Pirrotta alterna una narrazione ispirata e coinvolgente a inserti quasi dialettali ispirati alle tradizioni di narrazione da cantastorie della sua Sicilia. Mentre Giovanni Calcagno ci regala un racconto sobrio e misurato.

Dall’altra tuttavia si sente la mancanza di un innesto teatrale nella narrazione, che invece si riduce ad un’alternanza di monologhi che alla lunga appesantiscono l’ascolto e creano ripetitività. Anche i dialoghi presenti nel testo sono sempre affidati ad un solo interprete che lavora a più voci. Invero potrebbe nascere il sospetto che gli attori non abbiamo veramente lavorato insieme, ma in solitaria, infatti ognuno recita con il proprio stile, senza particolare sinergia con gli altri.

Sicuramente altri risultati si sarebbero ottenuti da una drammatizzazione più attenta al versante teatrale e facendo dialogare fra loro i personaggi. Non a caso la parte più suggestiva dello spettacolo è quando, alla morte di Enkidu, la disperazione di Gilgamesh viene rappresentata con due burattini che si abbracciano mentre gli attori, insieme, guardano la scena. La comunione di sentimenti eleva immediatamente la comunicazione, ove la reiterazione della forma monologo la inaridisce.

Operazione interessante dunque per la proposta di un testo antico che valeva la pena di riscoprire, belle suggestioni sceniche e intenti narrativi coerenti e articolati da parte del regista, ma anche un’occasione persa per un lavoro che manca di unità interpretativa e di amalgama fra gli interpreti.

Applausi cortesi nel finale.

Raffaello Malesci (24 Febbraio 2023)