Recensioni - Teatro

Convincente Antonio e Cleopatra a Modena, ma troppi decibel

Un’amplificazione esagerata caratterizza una messa in scena sontuosa che spinge sull’ironia. Bella la scena di Margherita Palli

Debutta a Modena in prima nazionale Antonio e Cleopatra di William Shakespeare, diretto e interpretato da Valter Malosti, direttore di Emilia Romagna Teatro, che produce lo spettacolo insieme al Bellini di Napoli, al Teatro Nazionale di Torino, allo stabile di Bolzano e al LAC di Lugano.

Testo complesso e di rara esecuzione, Antonio e Cleopatra è essenzialmente una tragedia storica, costruita su veloci cambi di azione e di luogo, una tragedia a “gruppi”, nel senso che via via agiscono sulla scena Cleopatra e la sua corte, Cesare e i suoi generali, Pompeo e i suoi generali. Malosti sceglie giustamente di tagliare completamente la trama secondaria di Pompeo e di concentrare l’azione intorno alla lotta fra Cesare Ottaviano da una parte e Marco Antonio e Cleopatra dall’altra.

Il taglio della messa in scena è ironico, a tratti grottesco, con una recitazione tesa, quasi sillabata e con uno spiccato gioco di metateatralità, per cui i protagonisti sono anche attori oltre che politici, e giocano con la folla immaginaria come fossero sempre in vetrina. Si ironizza con il mito, richiamando pose da statuaria greca unite ad atteggiamenti e virtuosismi da recitazione classica. L’allestimento e la drammaturgia sono convincenti e la trama si segue con chiarezza.

Il dato estetico preponderante, oltremodo invasivo, è tuttavia la scelta di un’amplificazione esagerata. Gli attori sono dotati di microfono personale e durante tutto lo spettacolo è presente una musica di sottofondo oppure un tappeto sonoro che riempie il teatro con i suoi decibel, sovrastato a sua volta dalla voce ancora più forte degli attori. Malosti in una scena scende in platea, anche a mezzo metro dall’attore si sente solo la sua voce amplificata.

Scelta estetica certamente, ma sorge spontanea la domanda, è ancora teatro questo? Malosti aveva le cuffie di ritorno (quando è sceso in platea si è notato), dunque almeno da un orecchio sentiva la sua voce amplificata. E il dialogo con il pubblico? Le sue reazioni? I silenzi? Le risate? Qualcuno diceva che il teatro non si può fare senza il pubblico. A Modena il pubblico c’era, ma è stato ridotto ad un pubblico televisivo, muto testimone di una mediazione tecnologica impositiva. Malosti non è il primo regista che trasforma il teatro in una camera sonora a senso unico, l’hanno fatto anche Livermore con Maria Stuarda e Lidi con Zio Vanja, certo mai con la violenza sonora di questo Antonio e Cleopatra. È ancora teatro questo, o ci avviamo verso un musical in prosa?

La produzione, con ben quattro stabili coinvolti, non lesina mezzi, affidando la parte scenografica a Margherita Palli, che infatti azzecca un bel colpo d’occhio fatto di volumi geometrici, di tondi e di angoli che si ispira a De Chirico e Savinio, ma richiama anche gli anni trenta e il realismo magico alla Casorati. Ronconiani poi, e non a caso, i carrettini che entrano da lato o dal fondo con qualche tomba, qualche statua, un cavallo su cui monta Cleopatra. Richiami magici, iconici, eleganti. Senza tempo, ma accurati e ben fatti i costumi di Carlo Poggioli. Ottime e teatrali le luci di Cesare Accetta.

Come si diceva il taglio grottesco è preponderante e Malosti ha il merito di giocare bene la carta dell’ironia, in particolare con il personaggio di Cleopatra. Il ritmo è vivace e c’è il tentativo di far procedere le scene con veloci cambi o anche in contemporanea. Lo spettacolo nel suo insieme però rimane lungo: due ore e trenta senza un intervallo sono francamente eccessive. “Un sequestro” avrebbe detto Gigi Proietti!

Che dire della recitazione? Difficile dare un giudizio poiché alla fine con questa amplificazione risulta tutta “ad alta voce”, per citare una nota trasmissione di Radio 3. Valter Malosti convince per accenti e ironia, avrebbe i numeri per essere uno dei migliori attori italiani. Anna della Rosa è una Cleopatra sopra le righe, spesso divertente, sicuramente magnetica. Un’ottima prova anche per lei. Danilo Nigrelli è un Enobarbo ironico e svagato, l’unico che non segue i dettami di sillabazione imposti dal regista. Dario Guidi, ottimo controtenore, meno convincente nella recitazione, interpreta un angelo che gioca con il curioso nome di un attendente di Antonio nella parte finale della tragedia. L’attendente si chiama Eros e infatti Guidi è sempre presente nelle vesti languide e androgine di un angelo intriso di erotismo e decadenza. Dario Battaglia è un Cesare Ottaviano corretto e stentoreo. Professionali e precisi tutti gli altri: Massimo Verdastro, Paolo Giangrasso, Noemi Grasso, Ivan Graziano, Flavio Pieralice, Gabriele Rametta, Carla Vukmirovic.

Il finale è un quadro anni trenta: Cleopatra si uccide con un colpo di pistola, riflessa nell’ampio specchio di una petineuse, nel momento che Marco Antonio le porta un mazzo di rose rosse. Poi finalmente un po’ di meritato silenzio per le orecchie sollecitate dello spettatore.

Buon successo nel finale.

Raffaello Malesci (Giovedì 11 Gennaio 2024)