
Sobria, moderna, ironica la messa in scena di Leonardo Lidi del capolavoro di Anton Cechov
Arriva al Teatro Ponchielli di Cremona Zio Vanja di Anton Cechov per la regia di Leonardo Lidi. Una produzione del Teatro Stabile dell’Umbria insieme allo Stabile di Torino e al Festival dei Due Mondi di Spoleto.
Leonardo Lidi crea uno spettacolo completamente incentrato sulla forza della parola e sulla comunicativa degli attori. In scena troviamo unicamente una pedana di legno, inquadrata da una grande parete spoglia, formata da assi di betulla chiara; fra pedana e parete una lunga panca praticabile e nient’altro.
La scena, a firma Nicolas Bovey, è un luogo vuoto, ma anche un limite invalicabile, un ostacolo e dunque una prigione. I personaggi giungono sempre da dietro la grande parete e dietro ad essa scompaiono, nulla sembra popolare il loro mondo fisico, se non l’ossessiva presenza di questo ostacolo incombente. Una prigione dell’anima e dei sentimenti. I costumi e le acconciature di Aurora Damanti richiamano gli anni cinquanta, trasudano cattivo gusto, aria di provincia.
I personaggi ridono e sembrano piangere, siedono calmi e sembrano voler fuggire, parlano per paura del silenzio. Alla fine prevale l’indifferenza, la rassegnazione e la prigione diventa palpabile, attuale, tremenda.
La regia impone una recitazione veloce, precisa, contemporanea. Un dialogo serrato, senza fronzoli, quasi le parole non fossero importanti, quasi i dialoghi fossero chiacchiera, un intreccio a “piccolo punto”, dialogato nella maglia infinita e monotona della quotidianità in campagna. Ma è proprio da questo telaio minuto, ossessivo, ribattuto che lentamente emergono tutte le relazioni malate, le invidie, gli amori spasimati e non detti tipici della grande drammaturgia cecoviana.
In questo senso lo spettacolo coglie nel segno, rivela la contemporaneità di Cechov, lo rende fruibile e moderno. Lidi non teme di far emergere l’ironico e il grottesco dalle scene, suscitando più volte la risata del pubblico. Finalmente. Finalmente un Cechov dove si ride, un Cechov che si è lasciato definitivamente alle spalle le vecchie letture novecentesche, intrise di atmosfere rarefatte e di languidi sospiri.
Ottimo e affiatato tutto il cast su cui spicca lo Zio Vanja di Massimiliano Speziani, cha alterna una recitazione spigliata, precisa, veloce ma sempre chiarissima, ad accenti clowneschi e infantili. Ne esce una figura complessa, a tratti beckettiana, sempre viva, vera e palpitante. Un’ottima prova d’attore.
Non da meno Mario Pirrello nel ruolo di Astrov, il personaggio che Cechov farcisce di riferimenti autobiografici e che fu interpretato per la prima volta da Stanislavskij. Pirrello lo riempie di insicurezze, di manie, di fissazioni. Un simpatico gaglioffo che non riesce a venire a patto con la vita e con l’amore.
Ilaria Falini è una Elena dal fascino algido, una bellezza lontana, a tratti triste e solitaria; ma di tanto più comica ed efficace nei momenti di crisi, quando la passione, attentamente relegata dietro un eccesso di controllo, prorompe nella sua vitalità. Contrasti efficaci che creano una Elena innovativa.
Appassionata e giustamente comica la Sonja di Giuliana Vigogna, ben caratterizzati tutti gli altri: Francesca Mazza (Marina), Angela Malfitano (Marija), Giordano Agrusta (Telegin) e Maurizio Cardillo (Serebrjakov). Tino Rossi interpreta il guardiano che in realtà è la proiezione di Zio Vanja da vecchio. In scena anche un cagnetto nero che si aggira curioso, forse voleva essere una nota di colore, peccato che invece finisca per distrarre senza aggiungere nulla.
Molti e ripetuti applausi nel finale.
Raffaello Malesci (Martedì 5 Dicembre 2023)