Magistrale prima messa in scena italiana di Cose che so essere vere
Prosegue la sempre ben calibrata e interessante stagione di prosa al Teatro Sociale di Trento, con una novità assoluta per l’Italia: “Cose che so essere vere” (Things I know to be true) del drammaturgo australiano Andrew Bovell.
Bovell è stato insignito di vari premi letterari e le sue pièce hanno avuto ottimo riscontro in tutto il mondo. Bene ha fatto dunque Valerio Binasco, direttore del Teatro Stabile di Torino, ad accaparrarsi la prima italiana del suo ultimo lavoro.
Si tratta di un dramma familiare, incentrato sulla figura di due genitori della cosiddetta working class e dei loro quattro figli ormai adulti, che non si riconoscono più nei valori familiari borghesi difesi e insegnati dai genitori. Un lavoro interessante, ben scritto, dal ritmo narrativo cinematografico, organizzato per scene iconiche che si susseguono a distanza di tempo e creano il quadro vivo dei sentimenti e delle relazioni familiari.
La pièce azzecca il coté contemporaneo nel momento in cui mette in luce che i tradizionali valori di onestà, senso del dovere, rispetto per la società, etica del lavoro e dell’impegno non sono più attuali per le giovani generazioni. Tanto che ognuno dei quattro figli trova il modo di fuggire dal giardino di famiglia, simbologia scenica più che mai azzeccata, per costruirsi una propria strada che inevitabilmente collide con la morale familiare.
Ne consegue che una figlia, pur moglie e madre di due figli, sceglie di seguire l’amore abbandonando il marito; il figlio che lavora nell’alta finanza cede alle lusinghe della droga e del furto; il figlio più giovane abbandona la famiglia per intraprendere una transizione di genere; l’ultima ad andarsene è la figlia minore in cerca di un’improbabile carriera come scrittrice. I genitori restano soli e sarà solo l’improvvisa morte in un incidente della madre a ricompattare la famiglia intorno al padre.
Contrasto generazionale dunque, diverse visioni sui valori, sull’etica e sulla morale. Queste le tematiche che Bovell rende con verità e ritmo, in un dramma che ricalca le pièce di conversazione in voga da diversi anni, ma che ha qualcosa in più: una riflessione acuta e disincantata sulle scelte, sull’etica personale, sulla felicità e sull’egoismo. Tutti infatti si dibattono in un giardino familiare che è diventato gabbia e da cui anelano a sfuggire come belve in cattività.
Valerio Binasco azzecca una messa in scena semplice ed efficace. Mobili a vista in un giardino rigoglioso e disordinato, che è diventato l’unico rifugio per il padre, da tempo disoccupato. Le scene sono di Nicolas Bovey e i costumi di Alessio Rosati. Il tutto su una pedana rotante alla Max Reinhardt, che permette costanti ed efficaci variazioni di prospettiva pur rimanendo la scena sempre inalterata. Quel poco di naturalismo che crea la realtà e una recitazione attenta, ritmata e calibrata fanno il miracolo, regalandoci un lavoro che fin da subito si candida ad essere fra i migliori della stagione.
Un cast affiatato ed azzeccato, dove accanto agli inarrivabili Valerio Binasco e Giuliana De Sio, perfetto per caratterizzazione e precisione il primo, secca, diretta, verace e pragmatica la seconda; spiccano per bravura e credibilità anche i quattro giovani attori che interpretano i figli: Fabrizio Costella, Giovanni Drago, Giordana Faggiano, Stefania Medri.
Sei bravi attori affiatati, una buona messa in scena aderente al testo, un pubblico attento e partecipe. Ecco la magia del teatro. Sembra semplice, sembra poco. Oggi in Italia è tantissimo. Bravi.
Raffaello Malesci (Venerdì 22 Novembre 2024)