Recensioni - Teatro

Ifigenia in Tauride al museo a Siracusa

Non convince la regia e l’allestimento di Jacopo Gassman al Teatro Greco

L’inda e il Teatro Greco di Siracusa propongono la messa in scena di una tragedia assai poco rappresentata di Euripide: “Ifigenia in Tauride”, affidandone la regia a Jacopo Gassman.

Scelta coraggiosa e interessante in quanto Ifigenia in Tauride resta un testo particolare del drammaturgo di Salamina, con il suo sviluppo singolare e la tipica ironia con cui Euripide tratta il mito greco. Non dobbiamo dimenticare che per Euripide, già Eschilo e Sofocle erano dei “classici”, dunque era fondamentale per lui proporre riletture nuove e spesso critiche del mito.

Ifigenia in Tauride non è propriamente una tragedia, nel senso che è una storia sostanzialmente con un lieto fine. Infatti, dopo che si sono riconosciuti, Ifigenia e Oreste, insieme a Pilade, riescono a fuggire dalla barbara Tauride (situata verosimilmente in Crimea, terra di conflitti anche oggi), ingannando l’ingenuo Re Toante che si lascia letteralmente prendere per il naso da Ifigenia.

Come spesso accade in Euripide la tragedia non ha poi una conclusione. Infatti Toante, scoperta la fuga dei prigionieri, ordina di inseguirli e di ucciderli, ma proprio sul più bello interviene Atena, il famoso “deus ex machina” del teatro euripideo, a bloccare gli intenti vendicativi del Re e a ristabilire l’ordine, permettendo ai greci di fuggire dai barbari e di tornare in patria.

Euripide da una parte torna sul tema della giustizia già introdotta nelle Eumenidi eschilee, facendo però le pulci al tribunale istituito da Atena e così mirabilmente raccontato alla fine dell’Orestea da Eschilo.

È come se Euripide volesse analizzare criticamente un’istituzione accettata ormai nella cultura ateniese: il tribunale terzo per giudicare i delitti di sangue istituito per volere di Atena. Oreste infatti, sottopostosi al giudizio del tribunale dopo aver ucciso la madre Clitemnestra per vendicare il padre Agamennone, da quest’ultima ucciso a tradimento, è incappato in un cavillo non da poco: la parità dei voti fra colpevolisti e innocentisti. E non solo, alcune delle Erinni addirittura non accettano il verdetto di assoluzione e continuano a perseguitare Oreste in barba alle decisioni del tribunale.

Se dunque Eschilo mette in tragedia il fondamento e la base della giustizia ateniese, Euripide anni dopo ne analizza i problemi e le storture.

Problemi e storture che ci inseguono come Erinni fino ad oggi, basti pensare alla recente istituzione del tribunale penale internazionale, che dai criminali che deve giudicare non viene riconosciuto. Euripide inoltre registra come nelle cose umane anche i giudici sono parziali, tanto che alcune Erinni semplicemente non rispettano la sentenza.

Atena è chiamata ancora una volta a sciogliere il nodo (istituirà il principio garantista che in caso di parità l’imputato sarà dichiarato innocente), ma il vero messaggio euripideo è forse che questo nodo è impossibile da sciogliere. Da qui l’ironia che pervade diversi punti del testo. L’improbabile cavillo che porta i due fratelli a riconoscersi, la frenesia organizzatrice di Ifigenia nel cercare una soluzione che permetta la fuga, fino alla dabbenaggine quasi comica con cui Toante viene raggirato.

Personaggio particolare e importantissimo quello di Toante, in cui chi fa teatro riconosce immediatamente le tutte le caratteristiche del vero personaggio di “carattere” introdotto in una tragedia: due brevi scene nel finale, in cui in una viene raggirato da Ifigenia e nell’altra rimproverato da Atena, sono praticamente la cifra teatrale di un personaggio caricaturale, sicuramente comico.

Dall’altra parte gli scatti vagamente isterici di certe battute di Ifigenia, il passare sopra con nonchalance a notizie terribili, quasi Ifigenia fosse in un certo senso onnisciente, consapevole di una parte che deve recitare e per questo in qualche modo complice con il pubblico, fanno dell’Ifigenia in Tauride una chiave di volta, l’indizio di un passaggio che stava avvenendo verso un teatro più leggero, meno epico, un’anticipazione insomma della futura commedia ellenistica.

Jacopo Gassman legge la storia di Ifigenia in veste museale, riempiendo la scena di vetrine da museo contenenti gli archetipi della storia: dalla cerva sacrificata al posto di Ifigenia alla nave con cui fuggono gli eroi, un vaso greco, le ossa delle vittime sacrificali e così via. Al centro una piccola piscina di acqua sacra.

Sullo sfondo una scatola/schermo usata per proiezioni luminose o giochi di ombre. Nel finale la scatola si apre e si scoprono le poltrone di un teatro, da cui si alzano Ifigenia, Oreste e Pilade in abiti contemporanei. Il coro è in lunghi abiti neri, costumi vagamente futuristici per Pilade e Oreste, un lungo abito classico per Ifigenia.

Il tutto dà l’impressione di un lavoro concepito prevalentemente in maniera teorica, mentre in palcoscenico l’assommarsi di simboli e citazioni (financo quadri di Tiepolo ad un certo punto) creano solo confusione senza che si percepisca una linea interpretativa chiara.

Ottimo il coro di schiave greche, interpretato con buona preparazione e un discreto affiatamento. Tutte da menzionare le interpreti: Anna Charlotte Barbera, Luisa Borini, Gloria Carovana, Brigida Cesareo, Caterina Filograno, Leda Kreider, Marta Cortellazzo Wiel, Roberta Crivelli, Giulia Mazzarino, Daniela Vitale.

Non del tutto a fuoco la recitazione degli attori. L’Ifigenia di Anna della Rosa manca spesso di chiarezza nel portare il difficile testo euripideo, mostrando un fraseggio a tratti caricato a tratti confuso. Lo stesso dicasi per l’Oreste esagitato di Ivan Alovisio. Stefano Santospago è un Toante corretto ma didascalico. Completano il cast in modo corretto senza eccellere Massimo Nicolini, Alessio Esposito, Rosario Tedesco.

Raffaello Malesci (23 Giugno 2022)