Recensioni - Teatro

Imponente e sanguinario Macbeth a Düsseldorf

Al Schauspielhaus della capitale renana magistrale messa in scena della tragedia shakespeariana

Il sangue è il filo conduttore della messa in scena di Macbeth a Düsseldorf, curata magistralmente dal regista kazako Evgeny Titov, coadiuvato dalla bellissima e imponente scenografia di Etienne Pluss e dagli efficaci costumi di Esther Bialas.

Il sangue è onnipresente fin dall’inizio. Sontuosa metafora della debolezza e caducità umana. Indelebile dalla pelle dei protagonisti come dalla loro anima. Sangue che marca l’istinto di sopraffazione dell’uomo e la ferinità dell’ambizione terrena.

Macbeth esce dalla battaglia seminudo e insanguinato, ed è come se il destino fosse scritto dal suo gettarsi nel mondo senza paura di sporcarsi, in netto contrasto con un Banco lindo e azzimato, quasi scherzoso, incredulo e scettico. Nello spettacolo di Titov si combattono due entità umane, eterne e onnipresenti: lo scetticismo e l’ambizione. Chi vuol essere nel mondo si sporca, ne esce insanguinato. Altrimenti si guarda da fuori, si resta alla finestra.

Il sangue è per Titov anche colpa, malattia, delirio. Macbeth cerca di lavarsi dal sangue della battaglia in una vasca da bagno ancor prima di aver ucciso Re Duncan. Inutilmente. Il sangue gli rimane addosso tanto quanto l’ambizione. La lotta con l’acqua che non lava è di magica intensità e la Lady irrompe come una madre che rimprovera il figlio, lo sprona ad essere crudele a non nascondersi.

La scenografia è semplicemente iconica e immensa. Da una parte la landa desolata della Scozia, costruita con parallelepipedi sfaccettati color grigio piombo, i tanti angoli ottusi di una mente malata; dall’altra la sontuosa sala del palazzo di Inverness, bianca, imponente di marmi crepati e fessurati, con una grande statua di donna che sembra un’erinni della tragedia greca.

Ma in Macbeth non vi è la sfaccettatura delle tragedie antiche: la colpa è univoca, voluta, cercata, bramata. Le streghe non sono altro che proiezioni del desiderio intimo di Macbeth. Come a dire: la volontà di potenza è insita nell’uomo, la sete di potere una conseguenza inevitabile, il sangue il suo risultato catartico, ricercato, liberatorio.

Lady Macbeth è amante e madre, quasi l’eterno femminino che indica la via come una sacerdotessa, impeccabile finché non si macchia anche lei del sangue del mondo. Fino a quando non viene violata in scena dall’amplesso sessuale di Macbeth, reso potente come un vampiro dopo aver bevuto il sangue del delitto. La Lady morirà per la colpa e per la violenza subita.

Macbeth procede sulla strada del delitto, uccide Duncan, un Re inetto con tanto di pannolone, il simbolo della vecchiaia; fa uccidere Banco, e i sicari sono le stesse streghe; delira ad un banchetto in cui non c’è nessuno, solo la Lady e nuovamente le streghe; si abbandona alla spirale del male senza reticenze, con piacere ferino.

Ma lo spettacolo di Titov è grande perché non fa sconti alla realtà, non edulcora il lavacro di sangue che è la storia dell’uomo. L’alternativa a Macbeth infatti sembra peggio del male iniziale: Malcolm altro non è che un debosciato ingioiellato, che gira mezzo nudo e in gonna ottocentesca. La luce non si intravvede nel buio, il passato come il presente non regalano facili soluzioni consolatorie, e chi le promette è sicuramente uguale se non peggio del tiranno di turno.

Destino eterno e disperante, valido allora come oggi, a cui il regista non lascia scampo. Macbeth sprofonda sempre più nell’abbiezione e nel finale si cosparge con il sangue mestruale della regina morta. Dell’uomo non restano che carne e sangue. Gli ideali sono annichiliti, spazzati via per sempre. Siamo animali e restiamo tali. Ci cibiamo del sangue altrui e del nostro stesso sangue.

Il finale è scarnificato e non può che condurre Macbeth alla propria tomba, un rettangolo cinto di fiori bianchi, una macchia di colore nella landa plumbea della guerra e del contrasto fra poteri terreni. Qui trova la propria testa mozzata e la adora in un richiamo necrofilo alla Salomè biblica. Scena intensa e disturbante. Fino a quando viene spinto nel fondo della tomba dal nuovo potere che sarà ugualmente inutile, ugualmente sanguinario.

Spettacolo di assoluto rigore formale, crudo, sanguinario. Disturbante e malato quanto la vita stessa. Magistrale. Immenso.

André Kaczmarczyk è un Macbeth febbrile, straniato, patologico, magnetico. Un’interpretazione perfetta. Manuela Alphons una regina madre di sontuosa vetustà, affascinante e terribile. Florian Claudius Steffens un Malcolm promiscuo, provocatorio e provocante. Rainer Philippi un Duncan fragile e infantile.

Grande prova per tutto il resto dell’ensemble: Stella Maria Köb, Blanka Winkler, Caroline Cousin, Sebastian Tessenow, Matthias Buss, Claudia Hübbecker, Moritz Klaus, Laura Peters, Rafael Wohlleber, Maximilian Wrieden, Frederike Bohr, Kassandra Giftaki, Violetta Sapunkov.

Questo è vero teatro contemporaneo, senza sconti, iconico, controverso. Il teatro moderno è rinato in Italia agli albori del rinascimento, ma è evidente che attualmente abita altrove.

Raffaello Malesci (Domenica 23 Febbraio 2025)