Recensioni - Teatro

Intervista a Daria Deflorian e Antonio Tagliarini

Abbiamo incontrato i due attori italiani in occasione della prima rappresentazione dello spettacolo Reality in Belgio al Teatro Les Tanneurs di Bruxelles

Opera teatro: In una realtà in cui il fare teatro è un’esperienza spesso frammentata dove le compagnie si formano per un singolo spettacolo e poi si scompongono ed ognuno prosegue per la sua strada, qual è invece la forza di essere una compagnia stabile come voi siete ormai da 15 anni?

Antonio T : È una domanda interessante nel senso che abbiamo lavorato per tanto tempo insieme e siamo in un momento di necessità di autonomia. Negli ultimi anni abbiamo cominciato un po’ forse volontariamente od involontariamente a soffrire, e siamo in un momento in cui sentiamo il bisogno di prenderci un po’ di tempo per noi. Abbiamo un repertorio insieme ma vogliamo provare a fare delle creazioni autonome.

Daria D : Questo è stato anche l’inizio della nostra collaborazione nel senso che venivamo da esperienze individuali, ed il fatto di lavorare insieme non escludeva altre esperienze. E questo è sempre stato molto interessante, difficile ma interessante. Poi il lavoro è aumentato e la relazione si è stretta con un aspetto positivo ma anche con l’esigenza di aprirsi. In fondo è come una specie di respiro tra il nostro bisogno di stare insieme e il nostro bisogno di autonomia. Bisogna vedere se uno è capace di respirare insieme a te. I tempi devono coincidere.

Antonio T : Aggiungo solo una cosa per esempio il fatto di poter fare Reality, che ormai ha quasi 10 anni, è anche grazie al fatto che è uno spettacolo che abbiamo creato noi : siamo noi due soli, rispetto a degli spettacoli più grandi. Il repertorio dove siamo solamente noi due ha più vita anche perché probabilmente è come se fosse il nostro figlio. Mentre un attore che è legato ad uno spettacolo solo nel periodo della tournée, si stacca, ha altri impegni, noi abbiamo un’affezione profonda per questi nostri spettacoli a due, per cui adesso essere qua a Bruxelles, poi a Ginevra in una settimana con Reality, ci piace. È bello.

Opera teatro: Reality è uno spettacolo che portate in scena dal 2012. È cambiato qualcosa nello spettacolo o nel vostro modo di viverlo nel nel corso di questi 10 anni? Sì sì come è cambiato?

Daria D : La cosa bella è che la struttura è cambiata pochissimo, è veramente quello del 2012. Nello stesso tempo, anche io stasera, ma questo accade ogni volta, sono cambiata. E quindi magari c’erano delle cose che abitavo con più luce qualche anno fa mentre adesso sono altre le cose che mi colpiscono in questa storia. E quindi sono io che do un respiro diverso alle varie immagini che creiamo della vita di questa donna ed al suo mistero. Non è mai uguale fare lo spettacolo, soprattutto dopo così tanti anni che lo portiamo in scena.  

Antonio T : Oggi mentre facevamo le prove, ho proprio pensato « che fortuna che uno ha di poter ritornare sulle stesse parole, sulla stessa materia ». Il ripetere qualcosa nel tempo è anche una crescita personale, esattamente come quando ti impegni nelle discipline fisiche in cui c’è sempre quella cosa che tu fai e che però se continui a farla, ti capita di esporare anche zone diverse. È un’occasione performativa unica e meravigliosa. È vero che il cambiare rinnova, ma anche il raccontare questa storia ogni volta davanti al pubblico rinnova completamente la nostra necessità di condividere la storia di questa donna.

Opera teatro: il tipo di rapporto che instaurate con il pubblico durante Reality è molto diretto ed interattivo. È una costante in tutti i vostri spettacoli oppure questo tipo di rapporto con il pubblico cambia a seconda del progetto che affrontate?

Antonio T : Cambia un po’, anche se il pensare che noi non siamo da soli è una costante in tutti i nostri spettacoli. Per Reality poi abbiamo fatto un’indagine che stiamo aprendo al pubblico, partendo dall’idea che il teatro finisce con l’ultimo spettatore che è in fondo alla sala. La nostra è una necessità di parlare al pubblico di Janina, per cui si crea una certa intimità, cercando però di mantenere un equilibrio e non eccedere. All’inizio ci sono le risate, una certa leggerezza, necessaria per bilanciare lo spettacolo che poi prende un’altra piega ed entriamo nella storia di Janina.

Daria D : Il lavoro è molto aperto fin dall’inizio. È veramente una specie di condivisione con un gruppo di lavoro : una serie di impressioni, scoperte. In scena, il pubblico diventa il gruppo di lavoro. È proprio nella sua radice che questo lavoro è aperto.

Opera Teatro: In una recensione di Reality si parla di recitazione « depotenziata », quasi spontanea, lontana dall’idea tradizionale di enfasi teatrale. Vi identificate in questa definizione?

Daria D : Questa naturalezza proviene da molto lavoro. A volte si pensa che questo modo di recitare sia semplice e legato a poche prove, ma non lo è. È un percorso molto complesso che parte dalla facilità attraverso l’impossibilità, perché tu non sei più quello che ha parlato allora, ma è passato del tempo e ripetere è una cosa complessissima. Questo può accadere solo grazie al tempo ed al lavoro ed al fatto che quella è una ricostruzione della vita, non è una vita stessa. Perché se tu scambi quel tipo di lavoro per vita vera, ottieni degli spettacoli molto sciatti, buttati via. Noi cerchiamo ogni volta di raggiungere il livello di massima presenza in scena, con dei risultati che cambiano ogni sera. Essere presenti è il lavoro più difficile a teatro, ma è una cosa che, quando avviene, è un piacere sia per chi è in scena che per il pubblico.

Antonio T : Nel nostro primo spettacolo in cui eravamo con altri attori è successa una cosa particolare : Siamo arrivati alla conclusione del processo creativo dello spettacolo con tutte le persone del gruppo che aveva seguito con noi tutto il percorso. È successo poi che un’attrice non poteva essere più presente ed abbiamo provato a sostituirla. La persona che è entrata, non potendo ripercorrere tutto il processo, si è trovata con il problema che le mancava una parte fondamentale, che non era facile da acquisire. Qualcosa del processo creativo era venuto meno. Questo ci ha fatto molto ragionare sulla questione che la recitazione è naturale ma non lo è : è una creazione complessa per una persona esterna. Qualcosa che è chiaro internamente ma non è così automatico per una persona esterna.

Opera teatro: Avete già nuovi progetti in mente sui quali lavorate?

Daria D : Prima di tutto dobbiamo ancora dare vita agli ultimi progetti che abbiamo fatto, Federico Fellini, Ginger e Fred. La cosa bella successa alla fine di questo arco di 15 anni è che siamo tornati a fare una cosa da soli, io ed Antonio, con l’aiuto di due giovani attrici. Una performance che ancora deve vivere, l’abbiamo fatta davvero poco. È un lavoro che non torna indietro su quello che siamo stati, ma nello stesso tempo, nel ritornare a dialogare in due, siamo riusciti, senza quasi ad accorgerci, a fare un passo avanti. E questo, lo scopriremo solo attraverso le repliche. Lo faremo alla biennale di Venezia a giugno, poi a Milano, Parigi, Madrid. Il futuro è dentro però dobbiamo ancora svilupparlo per capirlo. Io ed Antonio abbiamo anche dei progetti da soli. Per quello che mi riguarda, lavoro su un progetto legato alla letteratura, basato su un romanzo che si chiama La Vegetariana di una scrittrice coreana. Non è ancora del tutto definito.

Antonio T : Io voglio fare un solo. Voglio riandare in scena da solo, ritrovare me stesso da solo. L’anno 2023 sarà un anno di ricerca.

Opera teatro: Se vorresti dare un consiglio a tutti quelli che oggi vogliono fare teatro proporre una loro visione del teatro quale sarebbe?

Daria D : Io mi sento in questo senso vecchia, non lo dico in termini negativi, ma in termini di quello che una volta in una comunità era anche la saggezza di chi ad un certo momento decide di non andare più avanti ma rimane aggrappato anche a delle cose che si sono perse. Oggi, vedo molta fretta, molta ansia dei risultati, un’accelerazione che non è soltanto quella del teatro e della cultura ma è proprio dell’esistere. Lo dico anche a me stessa perché uno non finisce mai di imparare, e lo dico a chi vuole fare teatro, che l’esperienza del lavoro e del percorso devono riuscire ad essere più importanti del risultato stesso. Solo se il percorso è talmente interessante per cui hai l’esperienze di vita imperdibile allora puoi rischiare di fare qualche cosa che ha un valore. E se non è un valore per gli altri, perché arriva in un tempo sbagliato, non è importante. Importante è invece fare un progetto che uno si sente di fare dentro di sé. Almeno per te è stato un pezzo di vita importante. Abbiamo qualcosa dentro di noi che è più importante di noi stessi. A volte mi sembra di capire che questa cosa viene completamente e continuamente depredata dal fatto che il risultato è l’unica cosa che conta. E allora il consiglio è quello di trattenere il percorso.

Antonio T : Nello stesso tempo penso anche che ogni generazione trova, a volte in modo sorprendente, il modo di sovvertire il presente passato e creare il futuro.  Per cui alle nuove generazioni mi viene da dire « diamogli una guida ma lasciamoli fare » anche perché io credo che per me, alla mia età, alcune cose sarebbero quasi impossibili, inconcepibili poi magari c’è chi è più giovane e ci riesce. Questo mi dà un po’ di fiducia nelle nuove generazioni. In questo momento c’è una guerra in atto, penso ai giovani dell’Ucrainia, e mi rendo conto che la vita a volte è più forte della morte. Non sarò io a sorprendere, a leggere un presente che altre volte è difficile da leggere.

Daria D : Stiamo facendo un progetto di tutoraggio. Ci chiediamo che cosa vuol dire affiancare. Cosa vuole dire non imporre una propria visione un modello di fare teatro. Non pensare che il mio modo di vedere le cose sia quello giusto ma credere che, in qualche modo, il dialogo possa focalizzare il mondo dell’altro, non il mio, e nello stesso tempo che la mia presenza, cioè quella di una professionista che ha già avuto esperienza pratica, fallimenti, risultati, possa essere fondamentale, non perché dà delle soluzioni, ma semplicemente perché è presente di fronte a te che stai cercando. Perché credo che avere qualcuno di fronte sia -parlo per la mia esperienza personale, dove spesso mi sono confrontata da sola- qualcosa di fondamentale che possiamo regalare. Essere lì e potergli dire « io sono qua, fai quello che vuoi fare ma io sono qua. Grazie alla mia presenza il tuo fare ha una chance in più.»