Recensioni - Teatro

Kohlhaas, trent’anni e non sentirli

A Cremona Marco Baliani ripropone il suo storico monologo, che ha superato le 1100 repliche

Arriva Marco Baliani al Teatro Ponchielli di Cremona, portando il suo monologo più celebre e celebrato. Kohlhaas, tratto dall’omonimo racconto di Heinrich von Kleist del 1808.

La produzione, che porta la firma di Maria Maglietta alla regia, risale al 1989 e ha caratterizzato un lungo pezzo di storia del teatro italiano, collezionando ben mille e cento repliche in poco meno di quarant’anni di vita sul palcoscenico.

Il monologo, ma sarebbe meglio dire soliloquio, racconta in 75 minuti la storia di Michele Kohlhaas, allevatore di cavalli nella Germania del cinquecento, che subisce un’ingiustizia da un nobile signore. A questa seguono una serie incredibile di sventure che lo porteranno a diventare capo di una masnada di briganti, per poi finire impiccato sulla pubblica piazza.

Baliani rielabora il racconto mantenendo la struttura di Kleist, ma non solo, lo affina negli anni, lo distilla, lo fa proprio. Le mille repliche si sentono e si vedono, non c’è ripetizione nel lavoro di Baliani, ma incarnazione. L’attore è ormai tutt’uno con il racconto, che vive in lui e ne viene nel tempo modificato. La storia è magnetica, il risultato sublime, un unicum irripetibile.

Di Kleist rimane la riflessione sulla giustizia, sulle sue contraddizioni, forse sulla sua impossibilità. La constatazione amara della prepotenza inevitabile del potente, del nobile, di chi con la forza si può sottrarre alla giustizia. Sarà un’ossessione per l’autore, basti ricordare la sua più bella commedia “La Brocca Rotta”, dove la ricerca di giustizia per una brocca porta alla luce le malefatte dell’inquisitore stesso, il giudice Adam. Tuttavia, sia il racconto che la commedia di Kleist sono profondamente pessimisti, la giustizia non trionfa e i colpevoli la fanno franca. Sarà Michele Kohlhaas a finire impiccato, a diventare un capo popolo, a macchiarsi di atroci delitti in nome della giustizia.

Sottotraccia vi è la rivolta di un popolo oppresso, le jacquerie medievali dei contadini tedeschi, prima aizzati dalla riforma e poi solennemente condannati dallo stesso Lutero quando si spingono troppo oltre; ma anche la rivolta della nuova classe borghese contro il diritto di nascita nobiliare dell’ancien regime. Michele Kohlhaas è in fondo un borghese che si è costruito una posizione con il proprio lavoro e che non vuole più sottomettersi alla nobiltà arrogante e sfaccendata. Quanta rivoluzione francese nel racconto di Kleist, quanta eco dei servi che si ribellano ai nobili padroni come nelle di Beaumarchais.

Baliani legge il racconto per la sua generazione: quella della lotta di classe, quella del periodo buio del terrorismo degli anni settanta del novecento. L’abbracciare la violenza, la lotta armata, per conquistare la giustizia. Lo ricorda con orgoglio nei saluti finali. Ognuno legge con gli occhi del suo tempo, ma l’opera ormai trascende il suo autore e anche il suo interprete. È talmente distillata che sente di concetti universali, parla al mondo di oggi. Ecco perché rimane attuale, contemporanea, e ha ancora senso riproporla.

Baliani racconta che lo spettacolo all’inizio era stato pensato per le scuole e, a Cremona, è tornato insieme ad una mostra d’arte degli studenti del liceo artistico Stradivari. Insomma quasi quarant’anni dopo, Kohlhaas ritorna dove era partito e la platea del Ponchielli era piena di studenti.

Corsi e ricorsi, partenze e ritorni. A noi ha fatto balenare aella mente un altro grande artista dei monologhi, il bavarese Karl Valentin e il suo celebre monologo “Il Teatro dell’Obbligo”, dove orde di studenti subiscono, con intento chiaramente ironico, il teatro come cultura imposta.

Niente di tutto questo a Cremona, ma religioso silenzio, attenzione febbrile, nessun colpo di tosse.

Il miglior regalo del pubblico ad un grande artista come Marco Baliani.

Raffaello Malesci (Martedì 18 Febbraio 2025)